di MAURIZIO LIVERANI
La frase che riassume tutto il pensiero politico di Matteo Salvini è questa: “Chiusi i porti, aperti i cuori”. Intende dire che è disposto a salvare migranti, ma non sa dove metterli. E’ il parlar chiaro di questo nuovo governo che alla prima prova elettorale del 2019, in Sardegna, è stato battuto dal Pd. Contemporaneamente, centinaia di transfughi dalla Libia annegano nel Mediterraneo. In un altro campo, senza alcun annuncio, ma per far intendere che comincia a spirare un’aria diversa nel Paese, alla televisione viene presentato il film che per anni è stato considerato il più scandaloso di tutti i tempi. Non c’è alcun programma in quanto avviene; la linea di condotta è quella di accontentare gli scontenti. I cineasti che hanno subito a lungo i veti governativi sono sorpresi che un governo reazionario cominci ad aprire gli sportellini della clausura dello spettacolo. Con queste gherminelle si vuol far intendere che a un’arca di novità saranno presto aperti tutti i porti. Si attendono altre prove di correttezza e moralità. Gli italiani sono increduli e scettici. Gli interventi mancano di persuasività. Per ora, Salvini e Di Maio si comportano come due artigiani del sottobosco politico, mentre dall’altra parte si selezionano i più quotati a condurre l’opposizione di sinistra. Fiutata l’aria poco favorevole scaturita dalle scelte, Romano Prodi è pronto a rimettersi nel Pantheon delle anime elette. E’ da una vita che la sinistra è colta da forti doglie non appena apprende che Prodi si prepara a scendere in campo e a situarsi da solo alla testa del partito. Riaffiora il desiderio, anzi, lo sberleffo del “rieccolo”. Questo politico, dotato di competenza economica al punto da aver svenduto parte del prezioso patrimonio statale, è un “rieccolo” astuto, capace di coniugare il più melenso progressismo con l’abito del benevolo conservatore. La sua personalità è sempre in sospeso tanto da essere definito il delfino di se stesso. Le riedizioni di se stesso vanno in porto, ma questi “risvegli” si spengono nel giro di qualche mese. Nell’arruffato gomitolo delle candidature piddine primeggia Nicola Zingaretti che non sopporta il risveglio di Prodi il quale ha iniettato nella sinistra più che progetti molto scalpore. Qualsiasi cosa faccia o dica è guardato, nel mondo politico e giornalistico, come un brillante lanzichenecco delle casse pubbliche. Pier Luigi Bersani ebbe a dire una volta, citando un noto filosofo, che il nostro cade spesso nel banale. Come vip della politica Prodi non è del tutto spacciato; è ancora fervido e spigliato come ai tempi in cui cedeva i beni statali a De Benedetti. E’ fermo nella convinzione di essere, politicamente, un uomo da “grand siècle”. Gli amici gli ricordano spesso che il suo modo di fare è vecchio stile; stenta a convincersi che il nostro Paese non riesca a esprimere, come classe dirigente, figure che abbiano spessore intellettuale e culturale. Evidentemente, questo accade perché la nazione, nel suo complesso, non ne ha.
MAURIZIO LIVERANI