IL GRAN RIFIUTO

di MAURIZIO LIVERANI 

I“Quando si cessa di sperare si comincia a vivere”, questa sentenza di uno scrittore francese è diventata l’insegna del Pd capeggiato da Nicola Zingaretti. L’assenza di sfiducia si è globalizzata. Cambiare un leader come segno di mutamento in nome di un superamento epocale è un gioco (ben ridicolo) di opinionisti con “poche idee”, direbbe Maccari, “ma confuse”. Chi ci esorta ogni giorno, anche da pulpiti impennacchiati, ignora che viviamo in un Paese in cui i capitalisti condensano nelle proprie mani la ricchezza di un’intera popolazione. Non è questo il problema di Luigi Di Maio il quale, per non inimicarsi questa legione di super ricchi, è impegnato a sminuire il prestigio di Matteo Salvini che allarga, giorno dopo giorno, il consenso intorno alle sue iniziative. Gli attacchi di Di Maio non producono vantaggi. Non si accorge di essere indifeso dalle insidie del ridicolo; spara cartucce bagnate e non riesce a nascondere di avere un ruolo subalterno. I suoi disguidi sono quelli di circondarsi, anche in video, di gente con basso tasso di capacità, accompagnata da istinti imperiosi e ultimativi. Salvini ricorda quel vigile urbano che sul palchetto di piazza Venezia, in cima a via del Corso, regola il traffico; non si lascia imbrigliare dai fili invisibili delle insinuazioni. L’istintivo buon senso lo porta ad ammiccare al partito di Zingaretti. Da uomo scaltro coopta consensi nell’elettorato agendo fuori delle aule governative e prendendo decisioni che gli fanno alzare la cresta, gonfiare i bargigli, cancellando, inesorabilmente, dalla lavagna dei personaggi illustri il segretario del Pd. Nelle viscere di Salvini c’è posto per tutti. La sua ideologia è “migliorista”; ha una naturale predisposizione a “polverizzare” chi vuole ostacolare la sua marcia. Già si vede a fianco di Silvio Berlusconi a intonare “Fratelli d’Italia”. Per la nuova Forza Italia sarebbe un benefattore. Berlusconi, prima che si decidessero le formazioni per le elezioni, non trascurava occasione per offrirgli sostegno. Di Maio vive in un’atmosfera di sospetto. Al governo, insomma, abbiamo due congiurati l’uno contro l’altro. Il partito di Salvini (è poi il suo?) sprizza scintille simili ai fuochi di bengala. Di Maio si è lasciato “impantanare” dal video, mentre Salvini snobba gli inviti di Fabio Fazio polverizzandone le speranze di asservirlo; un “vade retro” per sentirsi approvato dall’opinione pubblica. Un “no” che è una superba impresa di “pubbliche relazioni” in questa democrazia.

 MAURIZIO LIVERANI