di Maurizio Liverani
Contributi al catechismo della dissoluzione, previsto dai grandi nichilisti, sta dando i suoi diabolici effetti. L’intesa che, all’insaputa dei servizi segreti, ha preso corpo è quella tra il mondo degli infedeli, esuberante nell’occidente sempre più scettico sulle prospettive che lo attendono, e l’Islam che trova più di una scintilla di vita e di creatività nell’ostilità, nell’odio verso “i crociati”. Giovani della buona borghesia, dopo anni di stagnazione in un falso ma declamato benessere, sprofondano in una rassegnazione senza speranza. Quelli tra loro che sono più furibondi, preso atto del disinganno, si votano alla morte. Dal disinganno sono passati attraverso la depressione e infine ad erigere un altare al “dio della morte”. L’inquietudine accumulata sin dai primi anni di vita, il convincimento che la famiglia non sia più un sano approdo ma, come scrive François Mauriac, un “groviglio di vipere” può portare a desiderare la fine provando un’assurda consonanza con l’aspirazione alla rinascita – rivincita dei mussulmani. Tra questi si annidano uomini senza principi e senza scrupoli; i disastri delle epoche corrotte sono meno gravi dei flagelli causati dalle epoche di fanatismo. Il fanatismo di morte si associa al fanatismo di vita. E’ imperdonabile che i governi, assistiti da tanti mezzi di investigazione, arrivino soltanto oggi a prendere atto che tra la sfiducia nelle ideologie e soprattutto nella religione si infiltri, come un tarlo industrioso, l’Isis. Lo si voglia ammettere o no, la nostra è un’epoca dissoluta che non crede “né in Cristo né in Marx”. Davanti all’essenza della vita ci si imbatte o nella farsa o nell’amarezza. Chi trova tutto ciò esecrabile ed è entrato nella convinzione che, per secoli, sono state spacciate per verità menzogne clamorose, può veder nascere nel suo animo, sospinto qualche volta dalle droghe, il desiderio della fine. Sul fronte di quello che noi consideriamo il mondo positivo siamo nel pieno di una stagione politica dove i partiti hanno cessato di avere autorità e, con la Chiesa, hanno perso ogni prestigio. Emil Cioran riassumerebbe tutto questo con il titolo “Il lutto indaffarato”.
Maurizio Liverani