IL MINCULPOP ROSSO E’ MORTO, SOPRAVVIVE LA TREMARELLA

  • di MAURIZIO LIVERANI
  • “Sbaglierebbe del tutto – scrisse, quando, nel 1969, uscì il mio film “Sai cosa faceva Stalin alle donne?”, Giancarlo Vigorelli – chi lo vedesse in chiave politica e lo interpretasse come un pamphlet anticomunista”; e aggiungeva: “E’ condotto avanti come un’ironica sfottitura di qualsiasi fanatismo, del fanatismo universale, del conformismo di ognuno e del servilismo di tutti”. Nel suo “Frasario essenziale per passare inosservati in società” (ed. Bompiani), Ennio Flaiano dedica una pagina al mio “Stalin” riprendendo alcune battute. Per tutte una, quella pronunciata da uno dei protagonisti: “Stalin era più che un eroe, era un uomo che sapeva vestire”. Questo personaggio approda al comunismo non per convinzioni intime o per idealismo; ha scoperto la propria straordinaria somiglianza con Stalin; a forza di identificarsi con il “Gran capo” crede, per transfert, di essere Stalin indossandone le divise, i cappotti e i berretti. Sa tutto del suo idolo e, affinché la trasposizione sia completa, si imbottisce – imitato dal suo compagno Aldo (Helmut Berger) – di citazioni di Lenin, Trotzky e Marx. Trotzky, principale rivale di Stalin, è visto anch’egli come un uomo che sapeva vestire. Si fece abbozzare una splendida uniforme dal costumista hollywoodiano Annekov; quella splendida uniforme è uno dei costumi più prestigiosi che si ricordino addosso a un rivoluzionario: cappotto di pelle nera, berretto di pelle scura con occhiali protettivi e stivali donati dagli operai del Feltro-Trust di Uralsk. Tutto vero, tutto verificabile, ma trasposto nel film in chiave comica e paradossale; cogliendo l’attimo in cui la “crisi” subentra, quando, al posto dell’elegante Stalin, cominciano ad avvicendarsi uomini “grassi”, con la cravatta e la lobbia; insomma, i burocrati. Un vero dramma estetico, al quale il protagonista-simbolo reagisce cercando nuove identificazioni, come i più eleganti Che Guevara, Fidel Castro e Ho-Ci Min. L’efficienza della democratura italiana va cercata anche sotto la crosta della puerile persecuzione alla quale sono stato sottoposto per anni. Ennio Flaiano amava la mia pellicola; avrebbe preferito un altro titolo, ad esempio, “Il dittatore”; lo ha lasciato scritto in un quadernetto nel quale dice che la notte successiva alla visione del mio film aveva dormito bene: “se un film non mi piace passo la notte insonne”. La prima operazione di boicottaggio fu un tentativo della delegazione sovietica di impedirne la presentazione al festival di Venezia. Un’altra fu compiuta a Roma dove “Sai cosa faceva Stalin alle donne?” fu ritirato dalla sala con il ricatto fiscale all’esercente. L’operazione più vile si consumò a Bologna dove il film fu rimosso, nonostante fosse al secondo posto tra i successi natalizi. La sala era di proprietà del Comune e l’esercente dovette piegarsi al diktat; ci fu un’interpellanza liberale al consiglio comunale in seguito alle protese che arrivarono a “il Resto del Carlino”. Il film nacque e apparve al pubblico grazie alla testardaggine del compianto produttore Angelo Rizzoli senior. Sergio Leone voleva, d’accordo con lo sceneggiatore Luciano Vincenzoni, farne una versione in inglese, convinto che su quel mercato avrebbe avuto un enorme successo. Allo “Stalin” fu messa la camicia di forza e scomparve, per riapparire in televisione molti anni dopo grazie alla signora Canetta che è andata a diseppellirlo dal magazzino della Fininvest. Il critico de “il Giornale”, Massimo Bertarelli, ne dette notizia senza omissioni parlandone con acume e intelligenza. La provocazione è stata digerita soltanto in questi ultimi tempi. L’egemonia culturale confidava nella indifferenza della cosiddetta “destra culturale” che, con la sua ignavia, a questa egemonia ha dato un contributo decisivo.

MAURIZIO LIVERANI