di Maurizio Liverani
“Non occorre odiare i preti; non tutti sono democristiani” asserisce Mino Maccari che, per non irritare la sinistra, puntualizza: ”Se senti invocare un’ istanza sociale, attenzione al borsellino”. Il sarcasmo di questo autentico umorista ci torna in mente ogni anno allo scoccare del Festival di Sanremo, dove si fanno sempre i soliti incontri cattocomunisti. Con l’assenso di tutte le torri campanarie della politica, la cittadina ligure ci ripropone Giancarlo Leone, in pianta stabile nella Rai dal 1982, secondo il vecchio stile democristiano. Gli si attribuisce uno spessore intellettuale e culturale elevato anche se molti sono sfiorati dal sospetto che queste nomine siano di carattere parentale. Neanche con il Pd si riesce a cambiare selezione. I posti cardine della televisione di Stato sembrano tante sacrestie; testimoniano come questo mezzo, che doveva essere così importante per l’elevazione culturale e intellettuale degli italiani, sia ancora nell’”ampolla” democristiana. I ninnoli culturali del direttore di Rai1 sono quelli del “culturame” scelbiano. Nonostante il cambiamento della direzione e nonostante il compromesso storico, il video è in mano ad astuti carrieristi democristiani. Torna alla mente la definizione data all’Italia da uno spiritosone: “Gran Pretagna”. Dopo l’apparente cambiamento di regime è come se la Dc sia ancora viva sotto un altro nome. Il cattocomunismo è formalmente una sorta di “post-democrazia cristiana”. La sinistra si è assicurata tutti i poteri più importanti lasciando alla spalla le manifestazioni folcloristiche che si credeva affossate con la scomparsa della Dc. E’ la consolazione oppiacea che l’alleato più forte e arrogante ha lasciato agli zerbini, privi ormai di una connotazione precisa. Leone ne ebbe una da Camilla Cederna: “monello”.
Maurizio Liverani