IL NARCISISMO DELLA SCONFITTA

di Maurizio Liverani

L’Italia rigurgita di strateghi politici che al momento di dar prova delle loro capacità preferiscono il narcisismo della sconfitta. Il candidato premier Luigi Di Maio ha fatto di tutto per apparire nelle foto e nel video che fosse chiaro come il burattinaio fosse lui; sperava di avere come avversario Matteo Renzi il quale, non avendo mai smarrito l’istintivo buonsenso pratico, si è dimesso da tutto. Un modo astuto per riproporsi gagliardamente quando questa cenciosa nuova classe politica, emersa il 4 marzo, sarà gettata nella pattumiera come un “guazzetto”, espressione della “lumpen-aristocrazia”, simbolo della “clochardizzazione” del politico ambizioso che si porta apparentemente bene pur essendo incapace di navigare nel mondo degli intrighi. Quando questo accadrà non registreremo nulla di grave. Sono passati pochi giorni ed essere chiamati “grillini” suona offesa. Da armatura carismatica, oggi i pentastellati somigliano ai fagioli tenuti a galla nel bollore delle dispute politiche; più bolle, più l’acqua tende a buttarli fuori. Da tutto questo discorso si intuisce che l’italiano fa una gran fatica a capire in quale paese politicamente si trova. Per essere politico bisogna innalzare al cresta, gonfiare i bargigli promettendo, come fa Matteo Salvini, di far luogo al “nuovo avvenire”. A cantare vittoria, in sordina, sono i piddini che, con un timbro di conversazione simile a un mormorio, parlano dei loro errori come di fatti facilmente riparabili. Le “vittorie” consistono in questo concetto: se Di Maio si fa da parte, torneremo in campo con chiunque voglia collaborare con noi. Altrimenti ricomincerebbe a spirare lo zefiro elettorale. Silvio Berlusconi sta con la destra per farla andare in frantumi; sarebbe riaccettato nel patto del Nazareno anche con qualche ammaccatura. Ma c’è di più: a dare concretezza a questa ipotesi c’è il possibile ritorno dei democratici negli Stati Uniti, dopo l’impeachment di Trump. E’ nell’ortodossia dei parlamentari italiani non far cadere un governo quando ancora ci sono mesi e mesi di compensi da ricevere. Si può colmare la legislatura anche con un governo di unità nazionale. Un escamotage che costerebbe alle casse statali milioni di euro, ma prolungherebbe in parlamento le ridicole gazzarre di questi mesi. Al momento non si è sicuri di nulla; i politici, soprattutto dopo l’esperienza del M5s, sembrano opere del caso o, comunque, di una brillante combinazione di astuzia e fortuna. L’affrancarsi dalla vecchia politica manda all’aria tutte le ideologie e rende collaterale il potere della fede. I politici di professione debbono fare i conti con questa nuova realtà. L’insoddisfazione degli italiani è ormai una condizione permanente; sappiamo che non ci attende nessuna nuova realtà. Un modo di fare politica che non dà più grandi individualità e produce personale partitico, curiosamente, privo di prestigio. I sondaggisti registrano che le competizioni sono più aspre all’interno di una stessa coalizione. Abbiamo più volte detto che non è la personalità a essere in declino nella politica; è la politica alla vecchia maniera a essere una sopravvivenza ingombrante in un’epoca di tecnocrazia trionfante. Si è fatta chiarezza su una ineffabile ideologia sorta dalla fine delle ideologie che ha prodotto uno choc da crocefissione nei micro-leader di partito.

Maurizio Liverani