di Maurizio Liverani
Il mondo politico si è retto, per tanti anni, sulle ideologie. La rivelazione che questa concettualità era soltanto una gherminella per la proliferazione di tanti partiti ha prodotto, inevitabilmente, la sfiducia in queste entità. Un terremoto che cambia la politica e la riporta alle sue vere dimensioni. Pura amministrazione che va affidata a competenti e non a semplici “peones”. Nella politica italiana, a cominciare dal “peones” De Gasperi, coloro che si sono succeduti hanno cercato di diventare “notabili”, cioè di conferirsi un prestigio ed entrare nell’orbita dei vip della politica. Sotto l’etichetta di notabile si sono trovati a convivere personaggi come Cossiga, De Mita, Forlani, Gava, Martinazzoli, Buttiglione; tutte personalità capaci di trasformare una ideuzza in “evento”. Gente che si è proiettata sulla ribalta con le fiamme e le demenze di una passione inconsistente con grande effetto di scena; il rumore ha coperto i pensieri. Su che cosa differisse un dc da un pci, da un psi e da un pri, oggi non sapremmo spiegarlo. La differenza si è misurata, e cerca di misurarsi ancora, con il metro dell’azione teatrale. L’effetto dell’entrata in campo è sempre accompagnato dal suono delle fanfare inneggianti a un passato privo di successi e di affermazioni personali. La biografia del fortunato è redatta a posteriori, composta di meriti inesistenti o, comunque, non dimostrati. A ogni entrata il promosso è preceduto da un gran baccano; nella nostra politica tutto è tuono, niente significato. Rimproverare alla politica l’uso del rombo di tuono sarebbe lo stesso che rimproverarla di essere politica, e italiana, per giunta. Svelato l’intrigo, chi non riesce a entrare nell’orbita di “notabile” rivela, in questi giorni, una specie di fragilità nervosa. Per non restare chiusi in se stessi, questi “virgulti” si agitano al semplice accenno di una elezione. Per vivere un’intensità infinitamente superiore al loro stato di “poareti”, al momento si limitano a differenziarsi. Il destinato a “caporionare” il prossimo governo, con un certo genietto teatrale, vibra il colpo con una dichiarazione con la quale si illude di piombare come un falchetto al centro di qualsiasi problema. Con questa formula l’interessato si ripromette di vedersi riconoscere una particolare capacità dialettica. Invece in lui la perfidia di un rivale vede confermato il vecchio concetto della politica italiana, secondo il quale a far camminare i tempi non sono i principi, ma le personalità. L’ingigantire un concetto insignificante è martellato da insidiosi “perché?”. Il “sublime” concetto, svolto nella sua dichiarazione, gli vale al massimo la nomea di “tergicristallo”. Oscilla, come esige la dittatura dei poteri forti, ora di qua ora di là. Consoliamoci: gli odierni politici sono semplici “lupacchiotti” di famiglia; prendono l’aria di chi li possiede. “Vociano” non sbraitano quando hanno rimproveri da fare al loro proprietario, soprattutto quando sono sicuri di poter riparare, al bisogno, tra le sue gambe. E’ una messinscena che è consentita soltanto a chi abbia acquisito credito di “peones”. Un personaggio che si muove in una luce opaca; rispetta una prassi annosa che risale agli inizi della democrazia. In un Paese “spoliticizzato” – per eccesso di politicanti – come è oggi il nostro, la politica somiglia a un corpo morto i cui riflessi sono meccanici. A questo punto ricordare la funzione egemonica che esercita la grande imprenditoria sulla politica è superfluo.
Maurizio Liverani