IL PALLONE SI SGONFIA?

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI

IL PALLONE SI SGONFIA?

L’industria o, se preferite, il mondo del calcio romano è sospinta e, insieme, condizionata da un elemento dialettico: la rivalità tra grandi squadre coabitanti nella stessa città. Dai giocatori ai più oscuri impiegati vi giureranno che non è il caso di parlare di indiscusso primato e di imporre un’egemonia. La rivalità esiste; ma più che di una competizione si tratta di una guerra. Nel calcio siamo in una fase di depressione. Anche tra gli allenatori non ci sono grandi firme; perché anche tra i mister del calcio c’è chi è lampada e chi è rogo. Alcuni, come Helenio Herrera (foto) di un tempo lontano, avvampano d’incendio, altri sono cenere da scaldino. La situazione è questa: il calcio non offre, oggi, come modello di allenatore il “superman”, bensì l’”everyman”, cioè l’uomo assolutamente medio. Ai tempi di Herrera tutte le squadre erano alla ricerca di un allenatore che sapesse creare subito un mito e fondare un culto. Nereo Rocco ed Helenio Herrera scatenavano rituali idolatrici e davano il nome a un’epoca; nel Milan di oggi vengono richiamati come funzionari non come salvatori di un illustre blasone calcistico. Il mito del nome è messo tra le coppe nella teca, a ricordo dei miracoli che produceva. Il fascino immediato e spontaneo di Rocco nasceva dalla semplicità; non si è mai vergognato di essere ignorante e di non provare un grande bisogno di istruirsi. Un’espressione come “i piaceri della carne” per lui significava, pressappoco: una bella giornata sotto l’ombrellone. In compenso, è sempre stato paterno e condiscendente con i “brocchi”. Nella dialettica del calcio l’unico mezzo d’ascesa è rappresentato dalla grinta e dalla franca pedata. Due uomini del vecchio Milan, Radice e Trapattoni, incarnano perfettamente il calcio d’antan; entrambi, quando giocavano, esprimevano un adattamento immediato all’ambiente. Alcuni utili ma mediocri calciatori, con il loro successivo successo come allenatori, erano, agli occhi delle masse calcistiche, esempi viventi e trionfanti della passione. Oggi, come trainers, sono tecnici del ramo; non hanno niente di demiurgico. I giornali più fantasiosi non sanno come definirli. I casi citati dimostrano che bisogna usare anche la scala di servizio per salire al cielo dei grandi condottieri. Liedholm e Vinicio non venivano dallo sciame dei giocatori di mezza tacca; sul rettangolo degli stadi erano grandi personalità; usavano un linguaggio sopraffino, alle prese con il pallone. Come allenatori, secondo le recenti ondate, avrebbero dovuto avvizzire in boccio e avere la faccia di angeli rattristati. Le grandi squadre si affidano ora ad allenatori che quando giostravano nel campo erano brillanti e inventivi. L’alta marea dei maghi è finita? E’, forse, questa l’epoca (speriamo di no) delle mezze tacche della pedata?

MAURIZIO LIVERANI