di Maurizio Liverani
Il presidente della Repubblica si è assunto il compito di scovare il capo di governo che gli italiani attendono. Un personaggio che dovrebbe apparirci come un direttore di circo equestre, un “trait-d’union” tra le élites e le masse, o un perfetto capofamiglia che sa aggiustare gli elettrodomestici e che quando un figlio ha bisogno di un costume per il mare glielo va a comperare e, passando per il supermarket, se ne torna a casa con la borsa della spesa piena di panini e aringhe piccanti. Se è ansioso di annettersi gli elettori del M5s è questo il modo di convincere gli italiani di essere esattamente il capo dello Stato che vorrebbero che fosse. I segretari dei partiti, soprattutto quelli che come serpentelli spuntano dal terreno d’estate, vorrebbero, invece, una sorta di Ivan il Terribile, un aspirante Rasputin, un Cagliostro, insomma, un’incarnazione con variazioni impettite di De Gasperi. Una guida e un salvatore che dovrebbe avere, nella nostra fantasia, i caratteri di un androgino che, dopo tante incertezze e angustie, sceglie il sesso definitivo. Le fazioni e le correnti in cui si divide l’elettorato sono state perentoriamente poste agli antipodi, sia sulla destra che sulla sinistra, del ventaglio politico. Guai a essere allattati da una sola mucca che è il popolo italiano, costretto a differenziarsi per permettere a questi prevaricatori, chiamati parlamentari, di attingere dal pozzo statale. Non a caso la costituente fu, al suo nascere, definita un “premeditato” sistema per consentire di vivere agiatamente a personalità che, senza alcun titolo, non avrebbero saputo cosa fare. L’immagine di questo pozzo di approvvigionamento inesauribile richiama gli aspiranti parlamentari all’obbedienza, alla coesione perché, diciamocela chiara, la costituente è uno specchietto per trarre in inganno le allodole, cioè gli elettori. Il suo luccichio fino ad ora ha avuto effetti nefasti, però, ha consentito ad alcuni grandi partiti di fare il pieno dei voti, facendoci vivere periodi angosciosi e periodi più tranquilli. L’Italia porta numerose ferite addosso prodotte dal primo periodo; i partiti esercitano sempre lo stesso gioco sia che a condurlo sia l’elettorato o il capo dello Stato. L’importante è vincerlo ancora una vola. Si tratta di confondere la causa del popolo con quella dei politicanti, senza distinzioni. Per i nostri politici il popolo non è un’entità carnale, ma un’entità politica. Rifiutano di vedere quello che salta agli occhi, e cioè che il popolo va al di là dei limiti dei lavoratori e che il ceto medio si limiti a mugugnare. Non c’è alcun spostamento né a destra né a sinistra; lo si simula a vantaggio di qualche privilegiato. Gli spostamenti, da noi, avvengono in modo massiccio, ma durano poco tempo. Per esempio, il M5s se tornasse al voto sarebbe già fanalino di coda. E’ penoso vedere uomini che pretendono siano loro affidate importanti responsabilità attaccarsi a vecchie formule e non accorgersi che la passione per la giustizia sociale è viva solano nelle risse e nelle invettive contro chi da anni ci governa male. La contrapposizione destra e sinistra, vale la pena ripeterlo, sfruttata dalla malafede dei partiti che hanno agguantato i seggi, ha prodotto e produce soltanto sottosviluppo, sotto-rendimento industriale e dittatura della gente d’affari. Confusamente, di queste verità ce ne siamo accorti tutti. Per non incorrere in conflitti sociali si è scelta la via di stare al gioco; nelle varie fazioni c’è chi, però, suona lo strumento della vanità a volume sempre più alto. Appena sbatte lo sportello della sua automobile con autista, comincia a parlare come Karl Marx e a scaricare invettive contro la “affluent society”. E’ un tipo fatto così da anni; si adorna di umanitarismo, inesauribile spunto di contrasti e di parolacce. E’ un fenomeno da baraccone e, per attrarre l’attenzione, si farebbe avvitare una gamba di legno per tambureggiare sul selciato e costringere il prossimo ad ascoltarlo. Le parole che scorrazzano sulla sua bocca nei dibattiti servono a riempire le lacune mentali e l’impreparazione. Voci che a furia di essere usate non significano più niente, ma che vengono intonate con aria irata, preludio al rinnovarsi nel solito ciclo di promesse non mantenute e di proteste ripetute. Il prescelto a governare è già colpevole… fin da ora.
Maurizio Liverani