di Maurizio Liverani
Lo sguardo, il cipiglio, l’incedere, il calibrare le parole ricordano un fiero capopopolo. Stiamo parlando di Matteo Renzi che in così breve tempo si è ben installato nella parte di “equidistante” tra i due “moloc”, destra e sinistra. Con quell’aria da giovanotto promettente, agli occhi dei killer appare un gigante da abbattere con la pistola. Questo odio (propellente, in Italia, di ogni confronto politico in mancanza di una vera democrazia) è proficuo alla politica di questo dindone in cui l’io socialdemocratico è divenuto verbo. Anche quelli che non gli riconoscono gran zucca devono ammettere che nella sua immagine si avverte la calma e la forte saggezza del demiurgo di una causa giusta. La causa di un gran numero di italiani stufi delle sopraffazioni, degli inganni, dei predoni di voti e di tante altre cose. A scopo didattico ha avuto una bella trovata. Accortosi da anni che la falce e il martello sono in pieno climaterio, nei comizi non esibisce questo simbolo e non intona “Bella ciao”. Renzi segna la svolta. E’ il nuovo leader che, agli inizi, fu ben definito da Walter Veltroni il quale, da politico corretto, riconobbe in lui una marcia in più rispetto alla sua. I veti di cui Renzi si “agghinda” appartengono all’artiglieria. Nel giornale “Libero” si invita apertamente l’avversario a sparargli. In un Paese di agguanta prebende e agguanta bustarelle, le ambizioni dell’”unto dal dio Craxi” possono essere stroncate soltanto con la violenza. Renzi considera tanto odio come un assenso alla sua politica. Appare a molti l’astro nascente tra tanti capataz abbonati alla sconfitta, con salivose erogazioni di inutilità verbali che più spicciativamente si chiamano polemiche. Caracollando sul cavallo del socialismo democratico fa apparire ciuchi gli avversari. C’è ancora chi sospetta che si tratti soltanto di esibizioni fanfaronesche; infatti a distanza di tre anni questi trambusti possono creare un corto circuito che può solo produrre un ampliamento del M5s che per la sua inesperienza dovrebbe essere una barchetta che affonda nella vasca da bagno. L’autonomismo dei grillini, che riscuote ancora nonostante gli errori qualche plauso, si spappola; resta una “allumeuse” che scrutettola, ammicca, promette, ma al momento buono sfugge al confronto. Con loro sarebbe sempre così; i pentastellati hanno subito smarrito la funzione che parte del Paese aveva assegnato loro; quella di sottrarlo al condizionamento del vecchio apparato politico. Il premier prescelto da loro ripudia i confronti e appare come un pavoncello dalla testa di turacciolo; non si va alle elezioni nel momento meno propizio per lui. La destra non ha ancora imparato di avere alla sua portata un alleato; con una “union sacrée” potrebbe far uscire il Paese dalla palude in cui continua a galleggiare. Questa ottusità alimenta i consensi non casuali verso l’indomito Renzi il quale, pur non essendo amato da molti del suo partito, ricorda Talete che studiava le variazione atmosferiche prima di acquistare i frantoi. Divenne ricco.
Maurizio Liverani