IL SONNO COME LEGITTIMA DIFESA

di Maurizio Liverani

Luchino Visconti si divertiva molto ai resoconti puntuali e particolareggiati degli assopimenti di Ercolino Patti alle visioni di film come “L’eclisse” di Michelangelo Antonioni e “La dolce vita” di Federico Fellini. Alla “privatissima” del film di Fellini toccò il primato della pennichella il produttore Angelo Rizzoli. Svegliandosi al termine della proiezione stupì tutti i suoi collaboratori con calorosi elogi del film. Il “Cumenda” faceva cinema per gabbare il fisco dimostrando che una tra le tante attività del suo impero editoriale non “rendeva”. Chi si divertì di più alla notizia del sonno di Rizzoli fu Visconti, dimenticando di essere lui piombato in letargo allo spettacolo teatrale “Zoo di vetro” di Tennessee Williams. La stagione teatrale di quegli anni va ricordata come il trionfo del grande sonno. Visconti si faceva raccontare questi episodi perché lo mettevano di buonumore e questo indispettiva Ennio Flaiano che a questa ipnosofia attribuiva il merito di favorire l’apprendimento delle lingue. Visconti replicò che il sonno a teatro è una deriva di “destra”, una forma di fascismo. Come si poteva dormire alla messa in scena de “ Il guardiano” di Harold Pinter, autore che dissemina i suoi testi di inquietanti silenzi, ma che Visconti rendeva roboanti quasi fossero drammi di Williams? Sprovvista solo apparentemente di qualsiasi logica, la tesi che il sonno-critico fosse una forma di “nuova resistenza” al dilagante conformismo prese piede. Polemizzando con Visconti, difendendo Raul Radice e, naturalmente, il più grande “critico dormiente” Ercole Patti, nella raccolta dei suoi scritti teatrali dal titolo eloquente “Lo spettatore addormentato”, Flaiano acutamente spiega: “Nel passaggio dallo stato di veglia al sonno la rappresentazione o la melodia o il dialogo si liberano da ogni scoria, diventano liquidi, celestiali. I sensi ricevono come un indimenticabile e personale messaggio. In quegli istanti abbiamo lo spettatore perfetto, unico, ideale”. E’ dunque offensivo per registi e attori dormire al cinema e al teatro? Abbiamo ricordato più volte come le dormite di Ercole Patti al cinema e, soprattutto, ai Festival rendevano a tal punto simpatico lo scrittore siciliano da provocare l’invidia divertita di Mario Soldati che, come stemma gentilizio, si attribuì il “coma” che lo colpì a Cannes durante le proiezioni per la giuria che presiedeva. Insegna araldica spettante sul versante della critica teatrale a Raul Radice, accusato di scarsa lealtà da Visconti per essere piombato in letargo a un suo spettacolo, imitato da altri critici illustri. Tollerante con i “pisoli” di Ercolino, il famoso regista (battezzato, dopo la messa in scena del dramma di Arthur Miller, “Uno sguardo dal conte”) non lo era con gli altri tanto che Flaiano scrisse, recensendo “La segretaria” di Natalia Ginzburg, di essere stato talmente scosso dall’accusa dal “non aver chiuso occhio durante tutta la ‘Monaca di Monza’” (film di Carmine Gallone). Il sonno era un titolo di merito apprezzato dai direttori dei giornali e dei settimanali. Visconti pretendeva da me il dettagliato racconto di questi assopimenti teatrali agli spettacoli dei suoi colleghi. “Dimmi, dimmi”, mi incalzava, “Patti ha dormito alla visione privata de ‘L’eclisse’?”. La risposta era sempre la stessa: “Ha dormito, ma si è destato alla sequenza finale che dura venti minuti. Una sequenza senza parlato né musica”. “Avrà pensato che il film era finito?”, e giù a ridere e ripetere: “Ma che simpatico, che divertente!”. La risata raggiunse il vertice quando gli raccontai che la famosa sequenza era completamente muta, interrotta dal russare di Ercolino il quale alla fine, per rendere omaggio all’autore, si alzò in piedi gridando “Bravo, bravo”. In quegli anni radiosi, ci si divertiva anche alla deriva di destra, il sonno.

 Maurizio Liverani