Il torto di capire

Maurizio Liverani
Maurizio Liverani

Gli idolatri del tracollo, dell’elegante naufragare sono riusciti a non rassegnarsi al rango delle cose morte. Consapevoli che la politica, in Italia, è svilirizzata ormai da tempo, hanno cercato di ravvivare un pericolo inesistente. Con un’elaborazione stentata, il fantasma del fascismo è stato preso come pretesto per dare forza e coraggio alla sinistra. Ora, due partiti alleati, ma che sino a qualche mese fa contavano quanto un cartoccio di lupini, si sono decisi a por fine alla loro evasività proclamandosi nemici di questa democrazia corrotta. Il pericolo fascista era soltanto una trovata per darsi un nemico grazie al quale puntellarsi alla poltrona. La sensazione era favorevole a chi ha sopportato un regime che si dichiarava democratico e che aveva un ancoraggio soltanto nel proprio tornaconto. I primi dubbi sul pericolo fascista sono cominciati a manifestarsi grazie allo scarso attivismo degli eredi del ducismo. Per scombinare il gioco e por fine all’inganno gli italiani hanno votato a caso partiti anticomunisti additandoli, intelligentemente, come il progressivo degrado della società italiana. “Ho paura che dopo aver vissuto vent’anni della mia vita sotto il fascismo, mi toccherà passare altri vent’anni di resistenza sotto un’altra specie di fascismo”. Lo disse a Max Gallo (“Express”, 11 giugno 1978) Leonardo Sciascia aggiungendo: “Il compromesso storico associa due tradizioni non liberali: la cattolica e la comunista. Io detesto l’una e l’altra, e naturalmente la somma delle due. Ma se i comunisti sono rigettati all’opposizione, questo determinerà un clima pericoloso per le libertà. E poi – perché no – può darsi che si continui a cadere, a cadere senza mai toccare il fondo”. L’Italia è infatti inciampata in questo destino; ispido di intuizioni, Sciascia è stato lo scrittore, con Pasolini, che nei penetrali del pasticciaccio italiano è andato più a fondo. La nostra politica ha sempre vissuto alla “truffalda” come un covo di mafiosi capaci di uccidersi tra loro. Qualche mese prima dell’intervista all’”Express”, Aldo Moro era stato ucciso. Gallo che chiedeva a Sciascia “perché?”, l’autore dell’”Affaire Moro” rispose: “Moro era una personalità complessa. Si comportava, con i comunisti, come Kutuzov con Napoleone. Voleva spalancare ai comunisti ampi spazi perché questi vi si perdessero. Era anche il più debole dei democristiani, il più puro, il più cristiano”. Dopo aver analizzato, studiato le lettere scritte da Aldo Moro dalla prigionia nelle mani delle Br, scrisse un saggio analitico. “Io credo – affermava Sciascia – che dietro le Brigate rosse ci sia Yalta, vale a dire gli interessi internazionali convergenti dei due Super-Grandi che vogliono che nulla cambi in Italia. Nelle sue lettere, Moro non mostra paura di morire, ma un dubbio nobile di quel che accadrà al di là della sua vita. Quando (nelle lettere) parla della sua famiglia, è senza dubbio al suo partito, al suo Stato e all’Italia che pensa”. Oggi si può verificare come Leonardo Sciascia avesse visto giusto. Ed è facile immaginare che non si arriverà mai a far effettiva luce sull’”affaire Moro”. Bisognerebbe risalire a Yalta. E a quell’accordo bisognerebbe riandare per chiarire la figura del famoso “suggeritore” nella persecuzione a Giulio Andreotti e a Bettino Craxi, “rei”, agli occhi dei Super-Grandi, di aver cercato con l’Ostpolitik e con Sigonella di violare la limitata sovranità. Si fa anche chiarezza sull’ostilità che i comunisti accordavano allo scrittore devoto alla verità più che alla causa del partito. Se “Candido” di Sciascia fosse entrato, nel ’78, nella rosa del “Campiello” la curiosità del lettore sarebbe stata sollecitata nel momento in cui lo scrittore di Recalmuto era “particolarmente” scomodo. Mescolando il veleno alla lode, gli scrittori che lo hanno censurato fecero il gioco del Pci. Di queste scappatoie è fatta la “nuova censura”.

Maurizio Liverani