IL VERO AMORE DI LIZ TAYLOR

di Maurizio Liverani 

Liz Taylor, scomparsa all’età di settantanove anni, alla vigilia della morte volle che si sapesse di avere avuto un amore autentico, profondo per Rock Hudson che era gay confesso. Era un amore casto, ovviamente, per l’una come per l’altro. Il sesso e l’amore erano due passioni separate. Questa attrazione puramente romantica fece, inizialmente, clamore nel mondo del cinema; poi è stata tenuta gelosamente avvolta nel silenzio per rispetto di entrambi quando ci si rese conto che il garbo e lo stile caratterizzavano la loro intesa. “Tra noi due – ripeteva Hudson – deve regnare una leggenda di libertà”. L’attore era un intellettuale, sapeva bene che il sesso difficilmente obbedisce al codice delle buone maniere e ha per base la mortificazione dell’io. La sensualità, per Liz e Rock, era ciò che doveva venire negata. Il marito Richard Burton, invece di piegarsi alla volontà e alle esigenze della Taylor, si immerse nella dedizione quasi religiosa al superalcolico degli inglesi. Il whisky ha spesso turbato i loro rapporti. Richard si lamentava di essere secondo nella scala degli interessi della consorte. E’ questo un capitolo che la stampa scandalistica si è rifiutata di scandagliare. Burton era stupito per questa casta predilezione che la moglie aveva per Hudson, ma, soprattutto, per la mancanza di rispetto verso il mondo che la rese famosa. “E’ la sua allergia. Una volta arriva con dieci minuti di ritardo, un’altra con mezz’ora e qualche volta non arriva del tutto”. L’attesa Burton la riempiva con il suo whisky e per non distaccarsene ha più volte rinunciato all’aereo. Non lo prendeva, non perché un veggente gli avesse predetto la morte in una catastrofe, ma perché l’aereo, si sa, ammette soltanto un certo quantitativo di bagaglio. Come certi primitivi che, pur divinizzandola, sfruttano la donna, Burton era pronto a trattare da mascalzone chi mancasse di riguardo a Liz, ma si è sempre rifiutato di metterla al vertice della sua esistenza. Perdeva la calma quando lei, per fargli montare la collera, gli rammentava la sua calvizie in marcia. Era la sola impertinenza che riusciva a mandarlo fuori dai gangheri. Liz mi fu descritta come una donna scombinata, ma anche schietta; perciò incoerente e inafferrabile. Questi svolazzi agiografici producevano una venatura sarcastica sul volto di Burton, sempre impegnato a porre la moglie in una dimensione, diremo, umana. Senza punto lesinare in aggettivi, la stampa italiana si era avventata sull’attrice quando interpretava Cleopatra, affibbiandole qualifiche come “inelegante”, “pingue”, “sudata”. “Vede – mi disse Burton mentre lo guardavo stupefatto – la bellezza è un fatto dell’anima. Non va misurata con il metro. Per esempio, Liz ha la tendenza ad avere un doppio mento, eppure c’è (si riferiva evidentemente a Hudson) chi la trova estremamene attraente”.

Maurizio Liverani