INQUIETANTI SCENARI, FRAGILI EQUILIBRI

di Barbara Soffici

Un anno fa, dopo un numero drammatico di stragi in mare finalmente Berlino e l’Europa prendevano atto che la “questione migranti” era un problema “comune” e non solo dei Paesi affacciati sul Mediterraneo. Iniziava allora, dai territori di guerra, anche una migrazione di massa via terra.  La possibilità che il flusso di migrazione potesse nascondere anche un trasferimento di forze integraliste, di terroristi, aveva sollevato quindi il problema del controllo dei presunti profughi. Dopo i tragici fatti di Parigi, l’Europa si era impegnata a trovare una strategia coerente e unitaria, anche a livello internazionale, per risolvere l’emergenza dei profughi e della minaccia jihadista.  Alla fine la Ue aveva deciso di offrire un pacchetto di 3 miliardi di euro al Paese che si assumeva l’onere di bloccare alla partenza, o almeno frenare, i flussi migratori: la Turchia, membro Nato impegnato già nella guerra contro l’Isis in Siria, dove si stava combattendo con una strategia che non prevedeva più l’intervento esterno (com’era accaduto in Iraq), ma solo l’aiuto alle forze locali. Purtroppo il fronte anti-Isis, invece di combattere la jihad in modo unitario, si divideva in due coalizioni, con intenti divergenti. La Russia, piena di rancore per le intromissioni della Nato nella questione ucraina, stretta un’alleanza con l’Iran per impedire il controllo del medio oriente agli Stati Uniti, si poneva come difensore del governo sciita di Damasco, colpendo, nei suoi attacchi, non solo gli integralisti islamici, ma anche gli oppositori di Assad, alleati invece degli americani, degli arabi e dei turchi. In questo clima da “nuova guerra fredda” l’abbattimento del caccia russo da parte della Turchia aveva complicato notevolmente la situazione, concedendo alla Russia la possibilità di adoperare l’incidente per giustificare le sue azioni e i suoi progetti neo-imperialisti. Nel frattempo, per sfuggire ai bombardamenti su Raqqa, l’Isis si trasferiva a Sirte, in Libia, portando il conflitto alle porte dell’Occidente. Mentre la Russia, approfittando dell’indebolimento dell’alleanza americana con gli Stati sunniti della regione, riusciva ad imporre in Siria il presidente Assad come “un importante interlocutore nella lotta contro l’Isis”. In questo modo Mosca non solo poteva garantirsi il mantenimento della sua base in Siria (che insieme a quella di Sebastopoli, in Crimea, assicura la presenza russa nel Mediterraneo), ma poteva anche allungare i suoi tentacoli verso l’Egitto che da sempre rivendica una parte del territorio della Libia, tutta la Cirenaica. Così anche in Libia (divisa in due zone d’influenza) si è iniziato a combattere l’Isis su due fronti diversi, pro e contro il governo internazionalmente riconosciuto di Fayez al-Sarraj che recentemente ha richiesto, con l’assenso dell’Onu, l’intervento delle forze americane che hanno poi bombardato Sirte. Ora le milizie libiche filo governative, sostenute da Washington, hanno liberato la città, mentre il governo di Tobruk, scosso da lotte intestine, combatte in Cirenaica contro l’Isis con risultati incerti e sconcertanti. Ed ecco il colpo di scena. La Turchia, membro della Nato (per la sua posizione geografica,  posta tra l’Europa e il medio oriente, ha sempre goduto di uno statuto speciale e del ruolo di attore in molte azioni internazionali), che fino a qualche tempo fa combatteva in Siria nella coalizione opposta a quella russa, ora, ritrovata l’intesa con Putin, intende collaborare con Mosca nei bombardamenti ad Aleppo. E’ chiaro che gli equilibri internazionali, in questo momento, siano quanto mai instabili. Forse Putin è già riuscito a mettere in piedi l’asse militare (Russia, Iran, Cina e Turchia) a cui sta lavorando da tempo? Certo è che dopo il mancato golpe (di cui è stata indirettamente incolpata Washington, anche se i recenti fatti stanno facendo emergere il sospetto di un’orchestrazione dello stesso Erdogan mirata a rompere vecchie alleanze) i rapporti della Turchia con gli Usa e la Ue si sono un po’ raffreddati. E’ possibile che Erdogan, attaccato dall’Occidente per le epurazioni messe in atto allo scopo di indebolire il potere militare e la magistratura nel suo Paese, stia pensando di rivedere i suoi accordi con gli Stati Uniti e con l’Europa, per ridimensionare la loro influenza in Turchia. Se dovesse rivedere anche il sistema di alleanze, la situazione per i Paesi affacciati sul Mediterraneo diventerebbe ancora più pericolosa ed instabile, dal momento che l’Isis, in fuga da Sirte, minaccia di coinvolgere nel conflitto anche l’Europa, puntando direttamente a Roma.

Barbara Soffici