di Maurizio Liverani
Beppe Grillo è una gazza che si illude di essere un pavone; più che un capelluto conquistatore somiglia ora a un galletto innaffiato. Verso di lui stanno mutando l’acustica e l’umore degli italiani. Non è difficile analizzare le ragioni della sua rapida discesa nella mediocrità politica. L’atteggiamento “saturnino”, malinconico, pensieroso, assorto, lunatico, talvolta intrattabile discende dall’arrivismo incontrollato dei suoi “fedelissimi”. Tutti sono impegnati a recitare la parte di chi ha un fulgido destino. Grillo, da personaggio estroso che alla sua età avrebbe il diritto di stare nella politica italiana come al “luna park”, sembra una prima donna al tramonto. Gli spagnoli con il giocondo verbo “verenear” esprimono la felice condizione di chi trascorre la vita in letizia. Ordinando l’espulsione di una sindaco M5S, sospettata di colleganza con la mafia, ha violato una regola del vangelo “grillesco”. Una norma che, quando fu adottata, fu accolta come un miracolo politico. Non si condanna un collega con la delazione ma con la franca denuncia. Con questo codice i grillini pretendevano di moralizzare la politica che oscilla tra i due opposti mafia e delazione. Volevano servire da modelli per un mondo nuovo e sottrarre il Paese alla più grande sventura: quella di essere caduto nelle mani dei partiti. E’ nostro dovere, dicevano, riportare nel solco della morale la politica italiana. Ora, con relativa sorpresa, si scopre che il M5S è un partito come gli altri. Lo scandalo, o scandaletto, dimostra che è facile giostrare con le lame del moralismo tradizionale ma anche più facile scoprire, grazie alla delazione, personaggi screditati. Il venir meno alla morale codificata è sempre stata la malattia della politica. Avendo ogni sorta di piaga, come potevano i grillini diventare i vessilliferi di un’ Italia finalmente in riga con le regole della moralità pubblica? Grillo all’inizio si vedeva delegato a interpretare la riflessività morale collettiva. Per rendersene conto bastava ricordare come si poneva nei confronti dei suoi colleghi; si direbbe che fosse nato per fare il giudice o il commissario del Kgb; ti guardava non come fanno tutti gli altri mortali ma per giudicarti. Nella prima fase della sua vita politica aveva l’aria di un pontefice, con i capelli folti e argentati, risentito, che non concede indulgenza. Sembrava dicesse: se esistesse una eugenia politica, come ne esiste una fisiologica, i diessini, i berlusconiani sarebbero stati già espulsi da un organismo umano. Chi si è messo al suo seguito ha interpretato la sua direttiva alla maniera di quella del pollaio politico italiano; ha cominciato a starnazzare convinto che nei momenti drammatici gli italiani siano sospinti a proiettarsi verso il nuovo. Invece si continua a vivere alla “truffalda”, in combutta con mafiosi, capaci di uccidersi tra loro.
Maurizio Liverani