di Maurizio Liverani
Si è realizzato il progetto di Zuganov, il leader dei comunisti russi che alla fine degli anni 90 ripeteva, commentando il momento del suo Paese, quanto scrive Lenin nel “Che Fare?”: “Bisogna allearsi con i partiti borghesi per abbatterli”. Lenin aggiunge: “Bisogna essere pronti a tutto, usare, se necessario, ogni sorta di stratagemma, di astuzia, di metodi illegali pur di penetrare, restare e compiere la funzione comunista”. E’ avvenuto, in Italia, esattamente il contrario. I partiti tradizionali, e soprattutto quelli con forte impronta fascista, sono riusciti a introdurre uno statuto speciale; hanno cancellato in un sol colpo il partito che ha origine nel marxismo. Silenziosamente, applicando un metodo para-democratico, hanno fagocitato quasi tutta la destra che per lungo tempo è rimasta, silente, a guardare. Non c’è stato bisogno neppure a ricorre a travestimenti. Il motto che ha portato questi partiti di centro, di destra, di centrosinistra a ridurre a un ruolo striminzito quanto resta del partito comunista è stato, dopo la caduta del Muro, quello di Eduardo: “A da passà la nuttata”. La “nuttata” non è del tutto passata, ma ancora un po’ e passerà con la velocità di un fulmine. Il giorno della rinascita dell’Italia “piccolo borghese”, un po’ reazionaria, è alle porte. Tutti i vecchi comunisti sono pronti ad ammetterlo; i più stagionati non prendono neppure la tessera e cancellano il loro nome dal quadrante della politica. In modo goliardico e carnevalesco, i leader che hanno prodotto questo mutamento fulmineo con un passato di agitatori e giustizieri, senza mai enunciare a quale ideologia attingessero, si sono presentati al vertice come referendari di un nuovo modo di condurre la politica italiana. Da fiammelle che erano agli inizi sono diventati un grande falò, dimostrazione che le fisime dei governi borghesi hanno attraversato in questi anni democristiani, liberali, socialdemocratici, missini, nostalgici e, quando le scorie del marxismo sono state portate vie dal vento dell’indignazione, hanno aperto le porte, come guerrieri dalla corporatura possente, a un nuovo potere mettendosi in orbita da soli. Stanco di vederselo intorno con quell’aria di “bello in campo” Silvio Berlusconi ha introiettato a Palazzo Chigi Matteo Salvini; in questo modo ha servito quel suo gusto bizzarro che ne fa una specie di capo tribù. Silvio, mal sopportando chi nelle sue fila sollecitava un incontro con gli attuali sconfitti, aveva gettato il suo interesse su un autentico “liberal socialista”, quel tal Matteo Renzi il quale, consapevole in che gioco grottesco poteva finire, è salpato verso l’ignoto. Tornerà quando avrà le idee chiare. I vari D’Alema, Bersani e compagnia invece di adattarsi al “sottopotere” hanno gettato alle ortiche la “falce e martello”; hanno sempre avuto uno zelo redditizio soltanto per il loro tornaconto, soavemente passivi allo spettacolo del degrado del Paese; consapevoli di andare incontro alla rovina hanno cercato di protrarla il più a lungo. Resta da sapere perché l’informazione abbia finto di non accorgersi di questa lenta, ma progressiva liquidazione della sinistra. Lo spirito utilitaristico che ha tenuto in vita per tanti anni la “Cosa”, cioè il comunismo secondo Sartre, si è liquefatto. E’ caduto anche l’unico motivo che giustificasse la sua sopravvivenza: salvaguardare cariche e prebende. Il grande imperativo della loro coscienza.
Maurizio Liverani