di Maurizio Liverani
A Indro Montanelli, Gad Lerner reclamava, in una lettera di molti anni fa, una gran quantità di comprensione. Quando i compagni compilavano scritti sul modo di confezionare una “molotov” o di preparare un agguato erano dei scavezzacolli. Mutato il clima politico si sono emendati di tanti errori e hanno ottenuto ampio credito. I loro nomi sono noti, vivente dimostrazione che per integrarsi nei centri di comando bisogna provenire dall’estremismo violento. Tutti aspiranti a diventare “giornalisti-principe” o eminenza grigia o consiglieri del principe. Al tempo della guerriglia urbana delegavano poveracci a compiere imprese terroristiche o dimostrazioni per impedire le lezioni di Renzo De Felice, reo di aver studiato a fondo la storia del fascismo e di farne materia del suo corso universitario. Si può convenire che la riesumazione del loro passato sia un colpo basso, molto spiacevole. Ma quante volte hanno rinverdito i trascorsi fascisti di Moro, di Fanfani, di Ingrao, di Antonello Trombadori, di Mario Alicata? Soltanto loro rivendicano il diritto (diritto che negano agli altri) di essere assolti per i loro sbagli. La loro richiesta è in sintonia con il postulato di Lenin: “Impariamo sbagliando”. In democrazia chi riconosce i propri errori è indotto, cortesemente, a rinunciare a ogni attività politica pagata dallo Stato come fa il M5s. Con aria spavalda gli ex di “Lotta continua” si sono rivelati, al contrario, cavallucci arrembanti, ghiotti di potere. A questo eterno, agitato marxismo-tremens si è sempre riconosciuto il diritto di sbagliare, non una ma due, tre e, perché no?, quattro volte. Jean Paul Sartre (nella foto) ha battezzato il comunismo la ”Cosa” perché è immutabile su solo un punto: la malafede. La “Cosa” è immutabile ma capace di rifugiarsi nella “menzogna multipla”. Così l’autore delle “Mani sporche” definisce il metodo usato dai comunisti per far credere come da tempo siano attestati su posizioni ideologiche incensurabili nonostante la storia dimostri continuamente quanto siano false ed erronee.
Maurizio Liverani