di Maurizio Liverani
In un’epoca troppo crudele bisogna non perdere occasione per rompere il silenzio su fatti che, invece, sotterraneamente, influenzano la vita politica italiana. Facciamo un esempio importante che viene messo nel dimenticatoio pur avendo, tuttora, una rilevanza esplosiva. Il giudice Vincenzo Vitale, pochi anni fa, ha dedicato un libro, per la casa editrice Sellerio, dal titolo “In questa notte del tempo” a Leonardo Sciascia. Questo saggio ci illumina su uno dei personaggi più rappresentativi della nostra epoca, una sorta di Camus italiano. Sciascia è stato uno spirito mai sottomesso per la sua sete di libertà, di verità e di giustizia. Accanto a questo libro va posto un testo del magistrato Maurizio Landi, tradotto in film da Marco Bellocchio, “Buongiorno, notte”. Le tesi sostenute dai due testi collimano; dimostrano come l’eliminazione dell’autorevole leader democristiano Aldo Moro intendesse consolidare il conciliarismo strisciante tra Dc e Pci, aprendo, come prima fase, le porte del sottogoverno, della televisione, dei grandi organi dell’informazione dove la sinistra si è installata stabilmente dal dopoguerra. Sciascia era attaccato per l”Affaire Moro” in cui trae la convinzione che l’allora presidente della Dc tentasse di far capire ai destinatari delle sue missive che “il dichiarato proposito delle Br non era di combattere il compromesso storico, ma il proposito contrario”. In un’intervista a “Vie nuove”, periodico del Pci, venivano riportati con grande rilievo i “rimproveri” che Moro rivolgeva alla Dc: “un partito che non intende imparare nulla dai fatti”, vittima di “una congiura della mediocrità e dell’incultura”. Nella stessa intervista Moro tesseva un elogio del Pci; un partito, questo, che “ha dimostrato un notevole senso di responsabilità verso il Paese, perché non ha giocato un ruolo di rottura, non ha mirato a riempire il vuoto tra le forze sociali e politiche con un’azione distruttiva”. Sciascia, dall’analisi delle lettere inviate dal covo dove l’illustre personaggio era imprigionato, affermava che “dietro le Brigate rosse ci sia Yalta, vale a dire gli interessi internazionali convergenti dei due Super Grandi che vogliono che nulla cambi in Italia…”. Se fosse vivo oggi, lo scrittore avrebbe la conferma delle sue intuizioni ed è facile immaginare perché non si arriverà mai a fare effettiva luce sull’”affaire Moro”. Bisognerebbe risalire a Yalta. Uno degli “omaggi” di Sciascia al Pci (partito che ha sempre cercato di ridurlo al rango di pigmeo della letteratura) è stato questo: “la crisi del Pci è certo tragica e direi disperata… l’eurocomunismo, secondo me, ha solo un segno comune: lo sforzo di evitare il suicidio cui i partiti comunisti sono chiamati”. Nel 1979, la Dc si oppose con tutte la sue forze affinché Sciascia non entrasse nella commissione d’inchiesta sul “Caso Moro”. Il libro l”Affaire Moro” è diventato un best-sellers in Francia, non “poteva” diventarlo in Italia perché, più che una guida per venire a capo di questa intricata vicenda, è un ritratto della Dc. Al giornalista francese Max Gallo dell’”Express”, l’11 giugno del ’78, confidò: “Il compromesso storico associa due tradizioni non liberali: la cattolica e la comunista. Io detesto l’una e l’altra e, naturalmente, la somma delle due. Ma se i comunisti sono rigettati all’opposizione, questo determinerà un clima pericoloso per la libertà. E poi -e perché no?- può darsi benissimo (come i fatti dimostrano, ndr) che si continui a cadere, a cadere senza mai trovare il fondo”.
Maurizio Liverani