LA LEZIONE DE “GLI SBANDATI”

di Maurizio Liverani

Il film più attuale è del 1959. Si intitola “Gli sbandati”. In questa pellicola Citto Maselli (nella foto) ci offre una indimenticabile Lucia Bosè nella parte di una donna del popolo che si rifugia, sotto l’incalzare dei bombardamenti, in una villa di giovani della ricca borghesia. Oltre a “Gli sbandati”, “Gli indifferenti”, Maselli al cinema italiano ha dato molto. Ma, soprattutto, ha offerto “Lettera aperta a un giornale della sera”, un film che fece arrabbiare i comunisti. Un film senza fiele, senza furore. C’è dentro una disposizione a recitare il mea culpa e cospargersi il capo di cenere da parte di intellettuali che si accorgono di essersi lasciati irretire dalla società opulenta e di aver rinnegato gli ideali. Già con Gli sbandati” i compagni lo accusarono di aver perso contatto con l’ideologia, vedendone nei rampolli della borghesia i segni di uno smarrimento nel passaggio dalla guerra alla nuova “missione”. Nella “Lettera aperta a un giornale della sera” fu deplorata la duplice veste del regista giudice-reo. Il principio dell’autocritica avrebbe dovuto riguardare soltanto i rapporti con il partito. Se il partito non ti chiede l’autocritica, l’autocritica non fa fatta. Soprattutto nel momento i n cui il partito si “borghesizzava” intenzionalmente. Il Pci ha sempre teorizzato l’indispensabilità che registi e intellettuali si inseriscano nella società, spingendoli a occupare punti nevralgici, posti chiave, come quelli che presiedono alla elaborazione e alla conseguente manipolazione della cultura e dell’informazione; insomma, quelle sedi, come dimostrano i fatti recenti, che la sinistra non è disposta a lasciare. E non lascia. E non lascerà. Citto Maselli ha una dote in modo superlativo: la capacità di anticipazione. Già ne “Gli sbandati” rivelava uno stile inconfondibile. Ne “I delfini”, ne “Gli indifferenti” (dal romanzo di Moravia) è venuto cogliendo la stanchezza e la monotonia del dinamismo politico “a vuoto”, impresso dall’”intellighentzia” al Paese. Finiti ogni compimento, ogni speranza, ogni promessa, il “verme solitario” della storia divora se stesso. In quest’epoca che scivola nell’oscurità, la salvezza, di contro, si incorpora in quel partito che queste attese, queste speranze concorre a tenere vivi nei pulpiti e nei comizi, ma che ha in effetti “schifato”, stendendo un odore mortuario su tutto il Paese. Una camicia, più vicina a una “camicia di forza”, ha impedito che il masellismo sopravvivesse; meglio “il via” alla comicità di estrazione televisiva. Se la curva del tempo e della critica con i paraocchi dimentica quella stagione, a quella stagione bisogna rivolgersi; alle radici espressive del cinema italiano. Oggi un regista come Maselli sarebbe “scomodo”, come lo era già allora.

Maurizio Liverani