LA PERMALOSITA’ DI MARCELLO

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI

LA PERMALOSITA’ DI MARCELLO

Il conflitto tra il cinema e alta moda scoppiò allorché Marcello Mastroianni sferrò un violento attacco alle top model. Quando era all’estero, Marcello rilasciava interviste al fulmicotone come quando negli Stati Uniti lanciò il lamento: “Mi vergogno di essere italiano”. Piagnisteo poi passato di bocca in bocca sino a Norberto Bobbio e Umberto Eco. Senile permalosità? Dovunque andasse Mastroianni non trascurava, ormai quasi settantenne, di far sfoggio del vezzo della generazione “parrucca” degli attori nel sollecitare interviste per poi simularne l’inutilità. “Ancora vi va di sentire le fregnacce che raccontano gli attori?”, lamentava per farsi dire “Quanto è simpatico!”. Presunzione senile? Forse. “Ogni giorno sembro più giovane alla maniera di quelle attrici che sfuggono all’oblio anticipato rifacendosi il trucco”. Voleva essere giudicato un “fenomeno” e se qualcuno gli lesinava elogi se li elargiva da solo a piene mani. “Sul set mi animo; quando non lavoro sono più spento”. Così dicendo si iscriveva, di diritto, nella gerontocrazia cinematografica e teatrale. Voleva ricordare Ermete Zacconi che sulla scena giovanileggiava preoccupandosi, al tempo stesso, di conservare l’autorevolezza del matusa”. Per conferire sicurezza ai suoi giudizi, il bel Marcello si annidava nei ricordi sotto l’ala di Federico Fellini. “Vuoi mettere quella biondina con Anita?”. Claudia Schiffer, al bagno della Fontana di Trevi, lo predisponeva all’invettiva contro i grandi stilisti; Valentino su tutti. “Non si fa che parlare di loro e dei loro attici”. L’inviato di un giornale importante che raccolse questi malumori ebbe il buon gusto di non approfondire il discorso. Avrebbe potuto ricordare come a Roma i cineasti costituivano il “milieu” più ricco. Gli stilisti, come i cineasti di grido, semplicemente si rifiutavano di arredare con scadente arte commerciale le ville e le sopraelevazioni romane. “Dire la verità è svantaggioso per coloro che la dicono, perché si fanno odiare”. Non occorre conoscere questo pensiero di Pascal per intuire che gli stilisti di grido, bersagliati da Marcello, lo attendevano al varco. Prima o dopo, pensavano, avrà bisogno di noi. E ci sarà da ridere. Forse è stato un conflitto pubblicitario, ma le accuse erano gravi. C’era materia per trascorrere – tra polemiche e querele – un intero inverno sino alle prossime collezioni e all’uscita di un film di Mastroianni. Quando rilasciò questa intervista, interpretava “Sostiene Pereira”(1995) con la regia di Roberto Faenza. Quando il sentimento dell’ombra lo invade, Pereira è assalito da una luce di coraggio e ardore battagliero, accesa da una coppia di giovani rivoluzionari. Il grassottello titolare culturale di un giornaletto è entrato nell’animo del nostro attore. “Pereira sono io!”, esclamava Marcello. Un’altra sua bella prova. Nel ‘700, Denis Diderot, in un famoso saggio sull’attore, sostiene questa teoria: “Quanto maggiormente è privo di personalità, tanto è più facile, per lui, acquisire quelle dei personaggi che interpreta”. Quando nello scafandro di Mastroianni si infilava Fellini, il risultato, come nella “Dolce vita” e “8 e mezzo”, era di primissima qualità. Federico era lui, Marcello!
 
MAURIZIO LIVERANI