“LA QUARTA PARETE” A SENIGALLIA

di Maurizio Liverani

E’ difficile allargare i nostri conformistici percorsi cinematografici. Il film di rito romano ha solidi ormeggi nell’intrigo, nella trama. Di contro, a Senigallia il ventunenne Ariele Morpurgo presenta “La quarta parete”, sua prima opera di cui è regista e sceneggiatore, ispirandosi a Michelangelo Antonioni con quella insistenza su immagini enigmatiche che danno senso al film, più della storia.  Indaga, attraverso le vite di cinque personaggi, cosa sia la maschera sociale e quanto pesi nella vita di ogni giorno. Un’opera originale che contiene una “sfida” alla vita d’oggi mostrandone gli aspetti più inconfessabili. Al di là di questa quarta parete c’è o non c’è qualcosa di vitale o di sano o di immorale; al di qua si colloca una vita senza senso, ma che si esprime attraverso oscuri malumori. Tutti parlano di amore, ma è un amore inquinato. Si direbbe una retrocessione del ciclo vitale; si irradia un senso di privazione e di astensione, proprio di chi vuol vivere in disparte, lontano dall’immediato dell’esistenza. In breve, la quarta parete è il rifiuto di ogni manifestazione naturale,  preludio, forse, dell’entrare nel campo di una vita distorta (è una semplice ipotesi che il regista sottolinea). Il film è singolare e attrae con la sua scrittura piana e riflessiva. L’interrogativo: oltre quella parete c’è la possibilità di una vita “nuova”? Vivere o non vivere? E tutto questo è percorso dal tarlo del “nichilismo”. I corpi sporchi di sangue hanno il sapore di un atto metafisico, cioè una rinuncia alla volontà di vivere, accompagnata da un anelito di continuare a esistere. Come chi può addormentarsi e risvegliarsi a volontà. Sorprende la struttura del film con inquadrature strettamente necessarie. Si ha come la sensazione fisica che Emil Cioran, con il suo “Inconveniente di essere nati”, abbia influito sul regista con un surrealismo per così dire personale: l’inconveniente di vivere. Morpurgo si sta perfezionando nella scuola di cinema Iulm di Milano, ben guardandosi dal trambusto di Cinecittà. Tra gli interpreti spicca la bravura di Francesca Sciorra, al suo debutto cinematografico, e di Catia Urbinelli (“animatrice” del Teatro  Nuovo Melograno, altra bella realtà senigalliese). Un contributo alla riuscita del film è dato dal montaggio di Dario Messersì e dalla colonna sonora di Diego Sabatino.

Maurizio Liverani