di Maurizio Liverani
L’ansia di non essere più creduti attanaglia tutti nel M5s. La sindaca offre uno spettacolo gentile ma tremebondo. Improvvisamente, in una sola giornata, escono dalla scatola grillina cinque “dissenters”. E’ chiaro che le equazioni politiche di una città come Roma non sono conosciute dai pentastellati. Ai romani Virginia Raggi è simpatica come prima cittadina e non si scandalizzano se nel suo passato c’è qualche macchiolina. Quelli del Pd sono in questi giorni molto volubili; passano da una fiducia assoluta nel ritorno in Campidoglio alla più decisa diffidenza. Così, in questo momento in cui non c’è politico senza macchia, danno fiducia assoluta a Errani come commissario alla ricostruzione delle zone terremotate, dopo la più decisa diffidenza. Dicono che con quello che è successo, non ci saranno più scandali municipali. Soltanto chi si batte per scaricarlo preferirebbe la corruzione, sintomo infallibile, in Italia, di vita e di vitalità. Silvio Berlusconi aveva puntato come sindaco di Roma su Guido Bertolaso, poi, improvvisamente, come avviene nei paraggi di Forza Italia, su Alfio Marchini. Entrambi sono diventati plenipotenziari del nulla, con grande disappunto dei romani. Il favorito era Marchini il quale non voleva trovarsi nelle file di alcun partito, rinunciando automaticamente agli ormeggi per legarsi alla poltrona di primo cittadino. Nelle aule elettorali delle prossime amministrative echeggerà, a urne chiuse, spesso il suo nome; anche Bertolaso avrà buone possibilità. In casa piddina sono già cominciati i sondaggi. Tanti anni fa si dava per vincente Renato Nicolini (foto), promotore delle Estate Romane e vessillifero dell’”effimero”, delle avanguardie teatrali, sovvenzionate dallo Stato, dell’irriverenza ossequiosa che si è poi tradotta nella “demenzialità” televisiva. Nicolini ha divertito per lungo tempo i salotti con le “puntate” della sua “Morte a Pomezia” che avrebbe voluto tradurre in film con Franchi e Ingrassia. Allora passava per quel che c’era di più interessante; nei salotti dell’avanguardia si rideva e si “sniffava”. In sintesi, il prodotto di una cultura scapigliata che si opponeva a una sottocultura di potere. La figura che il romano cerca oggi è in netto contrasto con quella di Nicolini; quest’ultimo aveva il vezzo di inalberare una capigliatura da carbonaro-castrista, genere logorato dalle “zucche pelate”, ora di gran moda. Era geniale ma sciupava il suo talento. Alla Raggi come sindaca si dà esiguo credito, la scelta della pupilla di Grillo ha introdotto sbalzi di umoreA alcune volte fa entrare addirittura la collera: un garbuglio politico più complicato e inestricabile di quello stradale. I suoi avversari più intimi asseriscono che appare come una rediviva Sesto Empirico, il più scettico filosofo dell’antichità e abbia manifestato il desiderio di gettare la spugna. Roma è apatia, indifferenza, opportunismo, adulazione, prepotenza, con qualche incerto sussulto di rivolta, di idealismo, di curiosità. Alfio Marchini andrebbe bene perché conosce il romano a cui piace restare passivo e lamentarsi delle decisioni “prese sopra la propria testa” piuttosto che partecipare. Una inclinazione che giocherebbe a suo favore. Qualunque cosa facesse, se prendesse il posto della Raggi, lascerebbe il “progressista” romano aggrappato alla solita litania del “mancato rinnovamento”.
Maurizio Liverani