di Maurizio Liverani
“Il tempo è un grande maestro e mette a posto molte cose”, la sentenza di Pierre Corneille esprime la fiducia che il passare del tempo partorisca verità nascoste o stravolte. Chi ha in mano la ricchezza e il potere è capace di silenziare tutte le verità scomode. Arrigo Petacco, morto a ottantotto anni nella sua casa di Portovenere, aveva avuto il coraggio di scrivere “La storia ci ha mentito” in cui rivela, con lo stile di chi ama l’esattezza dei fatti storici, che Benito Mussolini fu estraneo al delitto Matteotti. Una rivelazione che, naturalmente, gli attirò molte antipatie e accuse di essere un nostalgico del regime. Si innescò, insomma, una polemica impastata di rancore. Petacco aveva ragione. Chi mi autorizza a fare un’affermazione così perentoria? Semplicemente il racconto che mi fece dell’accaduto Matteo Matteotti, figlio del martire. Quando era ministro dello Spettacolo, gradualmente, diventammo amici e senza che gli sollecitassi alcuna rivelazione mi raccontò il disagio che lo coglieva quando nei comizi doveva accanirsi – perché questa era la norma – contro i residui del fascismo. Mito che si presta a vari usi. Provenendo da una famiglia che aveva dato al regime il ministro dei Trasporti, regolarmente fucilato a Dongo, il sottoscritto fu incuriosito dal racconto del ministro. Matteotti mi disse che subito dopo il delitto, Mussolini andò dalla madre e, come si dice, stracciandosi le vesti la pregò di non dare credito a chi lo accusava di essere il mandante del delitto. Le confessò di essere circondato da facinorosi che volevano trascinare il suo movimento in una guerra civile. Imblasonato della sua innocenza, convinse la madre di quanto le veniva raccontando. Da quel giorno, la famiglia ricevette aiuti che consentirono ai figli di proseguire gli studi e di essere protetti da ulteriori aggressioni. Il racconto non mi meravigliò molto perché i miei parenti, pur indossando l’orbace, non avevano niente di aggressivo. Chi poi volle che tutto sfociasse in un conflitto tra fascisti e antifascisti non so dirlo; se avessi voluto, collaborando a un organo di destra, avrei potuto riferire di quanto detto da Matteotti. Ritenni più corretto non farlo in quanto mi aveva parlato come a un amico e non a un intervistatore. Lo riferisco oggi soltanto perché di tempo ne è passato tanto e per dare atto a Petacco che, aprendo uno spiraglio su quella tragedia, voleva soltanto servire la verità e non lo scontro politico. Era un divulgatore. Matteo Matteotti era una persona simpatica; collaboravo con lui e, da amico, non ho mai avuto la tentazione di metterlo in urto con la classe dirigente di allora. Sento però, in questo momento, il dovere di riconoscere la correttezza e l’onestà di Arrigo Petacco.
Maurizio Liverani
Nelle foto, da sinistra: Matteo Matteotti, figlio di Giacomo; Giacomo Matteotti; Arrigo Petacco.