di MAURIZIO LIVERANI
I film che interessano sono quelli che arrivano al momento giusto. Il successo mondiale de “La vita è bella” è essenzialmente un successo di puntualità. Di olocausti si parla quasi ogni giorno; Buchenwald, Birkenau, Auschwitz al solo nominarle fanno venire in mente i quattro milioni di ebrei che vi morirono. Sullo schermo o si fa un’esatta ricostruzione come in “Schindler’s list” di Spielberg oppure attraverso un’elegia sugli anni bui in cui – fatto poco comprensibile per chi non li ha vissuti – alla brutalità si contrapponevano, in una nobile antitesi, slanci di solidarietà. E’, dunque, tanto importante “La vita è bella”, un documento così decisivo da suggerire reticenze o addirittura indifferenza? Non ci sembra, se certi fenomeni si verificano è inutile ignorarli. Tirare fuori l’arte e la poesia per fenomeni cinematografici è sempre un po’ sorprendente. Per il film di Benigni e Cerami valgono le parole di Molière: “Nulla riesce meglio del successo”. E di fronte al successo cinematografico non ci si può barcamenare. Lo spettacolo è nello spettatore; ognuno vi trae ciò che crede opportuno. C’è chi nel film ne apprezza la condanna del presente che a sessant’anni dalla barbarie ci mette di fronte alle illusioni, nate in quegli anni e oggi già perdute. Benigni poteva astutamente servirsi del repertorio antitedesco consacrato dall’uso. Spesso i film che vogliono insinuare l’orrore suscitano una contorta stima per chi lo ha prodotto. Considerazione per la tecnica adottata per provocare stermini; non ammirazione. Questo è il destino delle opere che raggiungono un certo livello artistico; è il fascino del male. Non descriverete bene il demonio perché molti possono trovarlo passabile. Di imitare gli aguzzini bonaccioni de “La vita è bella” non se ne parla. Non diteci che in un lager così sbrindellato la vita è meravigliosa. E’ soltanto bella immaginando il poi, a guerra finita. Questa illusione l’hanno nutrita molti di quanti, oggi non più giovani, quegli anni hanno attraversato. E per sopravvivere ci si affidava a una visione onirica, alla fantasia, alla irrealtà. Nel film sono tutti bonari eccetto uno. E’ Benigni che per farci piangere e ridere non indietreggia davanti a nessuno. Si pensa a Edmondo De Amicis che è ritenuto uno scrittore per ragazzi. Benigni, a corto di spunti patetici, accende la miccia del divertimento. E’ un padre. I padri di famiglia, “questi avventurieri del tempo presente”, come scrive Péguy, hanno il cuore strabocchevole di trovate pur di oscurare ai figli la visione di cupe sventure. Ne “La via è bella” il comico toscano dà fuoco alle vere polveri comiche di un De Amicis che oggi muti parere. Che si convinca che a far piangere un bambino se ne otterrà da grande un cinico o un pericoloso sentimentale. Shakespeare sostiene che “la vita – tra urlo e furore – è una farsa scritta da un burlone”. Benigni stempera l’”urlo e il furore” dei campi di sterminio e fa lievitare la farsa tenendola lontana da quelle complicazioni che sono proprie della farsa; fa una commedia sulla vita che è bella nella favola, nei sogni, proprio nei momenti in cui è talmente brutta da diventare insopportabile senza il conforto del sogno. Se poco prima della fine l’attore non si facesse uccidere nascosto alla vista dello spettatore, la sua favola svanirebbe subito; il suo personaggio morto, stecchito sotto i nostri occhi diverrebbe dimostrativo, realistico. Benigni mette a frutto gli insegnamenti di Chaplin; il regresso rispetto al “Dittatore” è, ne “La vita è bella”, evidente. Chaplin ante-vide la barbarie, gli olocausti; Benigni arriva a furia sbollita. Gli è facile dare lezioni di ottimismo. E’ un candido, gioca la carta dell’ingenuità da “Johnny Secchino” in poi. Neppure i lager turbano l’idea idilliaca che il suo personaggio ha del mondo. Il ragazzino, cui il padre nasconde con i colori della fiaba la brutalità della vita, è Benigni bambino per scelta esistenziale e cinematografica. Per chi vive di chimere tutto è illusorio, ingannevole, favoloso. Il suo ottimismo non è dettato dal cervello, è insito nella sua verve comica.
MAURIZIO LIVERANI