di Maurizio Liverani
Da quando si è presa l’abitudine di attendere dal Papa la massima consolatrice del giorno, ogni sua opinione invece di fare luce entra in un gioco cangiante di suggestioni. E’ forse banale, ridicolo chiedersi perché il Creatore non dia qualche segno che spieghi l’accanimento della sua ira contro il nostro Paese, terremotando quelle zone dove è più vivo il culto dell’Essere Supremo? Soprattutto gli italiani al cospetto di tante catastrofi conoscono una sfiducia latente nell’aldilà. Per il momento l’aldilà non è un “altrove”; l’inferno, che di questo aldilà fa parte, è un paesaggio più vicino a noi perché ha tratti che lo apparentano alla vita terrena. Il paradiso è, invece, un paesaggio completamente sconosciuto in cui dubitiamo di andare. Questi ragionamenti sono diventati più intensi in un’epoca, come la nostra, segnata dalle scorribande del terrore. Sarà poi vero che esiste l’eternità, come dicono i mistici? La paura della morte – spiega il nostro Emil Cioran – tiene ancora in vita la speranza di trascorrere l’eternità promessa. Non sarebbe dunque tanto rattristante congedarsi da questo mondo dal momento che ce ne attende un altro dove arriveremmo con l’anima purificata, lasciando le scorie sulla terra. Chi si diletta al pensiero delle fiamme farebbe bene a concedersi una “pausa” di riflessione, come si dice in politica. Chi ha disobbedito, per attirare lo sguardo della divinità, non potendo concepire di essere un nulla nell’immenso universo, è un credente che ha peccato con la ragione ma ha creduto con la fede. Un periodo di riflessione in purgatorio se lo merita. Per Leibniz l’universo è pensiero. Ma oggi il fedele sente l’esigenza che si faccia chiarezza; che la fede gli dia vedute esatte sul presente della terra. Se è degna di tanto sconquasso vuol dire che il Supremo le attribuisce tante malefatte. Per il credente è giunto il momento di liberare l’umanità dall’incertezza. Beati gli atei che non hanno la preoccupazione di finire nel noiosissimo regno dei cieli. Se una risposta non verrà mai, non è sbagliato escludere che la Chiesa abbia adottato la massima greca: “La felicità sta nel non essere”. Ma i greci cercavano di rendere la vita gradevole annichilendola nel sogno. Quella che Friedrich Schiller chiama “ingenuità greca” non è altro che la facoltà di farla scomparire e sognare. La vita, per loro, non era che un’illusione. Gli italiani, che non vogliono riprodursi ma vivere in solitudine, sembrano aver trovato una motivazione etica nella massima greca.
Maurizio Liverani