La prima immagine televisiva inquadra l’accattone di Monaco (il giovane tedesco-iraniano) muoversi senza meta. A un certo punto, circondato dal vuoto di uno spiazzo, sembra deciso a tornare a casa. Un gruppo di giovani lo schernisce; l’accattone si ferma un attimo estrae dalla tasca un revolver e comincia a sparare diversi colpi verso chi lo ha deriso. La sua vita è certamente un fallimento; soffre di depressione, spara e uccide perché prende su di sé le pene degli altri; trasforma la cattiveria altrui in una personale e volontaria via crucis per amore dei suoi coetanei, attesi, nella sua mente da un destino atroce. Spara per esercitare la sua missione che è quella di negare ai coetanei un avvenire amaro che lui vede già segnato per sé. Spara, per così dire, per “fare il bene” dei suoi compagni. La sua depressione ha un soprassalto nella follia, vuole annullare completamente i giovani che lo hanno irriso e rompere l’isolamento – da accattone – nel mondo sopprimendosi, nell’illusione di compiere una buona azione. Con il suo male, l’accattone vede la vita come una condanna alla sconfitta. Uccidendo gli altri giovani crede di essere nel giusto perché in lui si spegne l’imbruttimento del mondo; vuole insegnare che il bene si diffonde soltanto nel male. Abbiamo più volte citato il personaggio di Pasolini perché l’assassino di Monaco è l’accattone dei nostri tempi. Cogliere il nulla nei “miseri” era la religione di Pier Paolo Pasolini; il mondo aberrante e doloroso di allora è diventato ancora più corrosivo. Il documento offertoci dal video è una ripresa superba di cinema nichilista; è dalla parte dei perdenti che non hanno alcuna illusione di riscatto. L’accostamento del tedesco-iraniano che uccide nell’interesse dei più giovani è in assonanza con l’alienazione che mette al bando dalla società l’accattone di Pasolini. La tranche televisiva ha il sapore di un film evento, nato, forse, casualmente e ha il suo senso nel delineare lo spirito dei nostri tempi.
Maurizio Liverani |
|