di Maurizio Liverani
Non ricordo quale grande scrittore abbia detto “di provare la tristezza dell’esule”. Come uno sperimentatore che chieda la riprova di una sua ipotesi ci siamo imbattuti in Cesare Pavese. Sfogliando una guida letteraria e cercando la conferma di quanto scrive Emil Cioran ne “L’inconveniente di essere nati” scopriamo la stessa incapacità di vivere in Pavese; uno dei più grandi scrittori italiani che in poco più di quarant’anni di vita ci ha offerto un campionario di opere indimenticabili. La sua tragica incapacità di vivere che lo condusse al suicidio è riassunta in questo pensiero: “Val la pena esser solo per essere sempre più solo?… Tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri”. Così annota ne “Il mestiere di vivere”. “… L’arte moderna è in quanto tale, un ritorno all’infanzia. Suo motivo perenne è la scoperta delle cose, scoperta che può avvenire nella sua forma più pura, soltanto nel ricordo dell’infanzia”. In pieno clima neorealista proponeva questa rimembranza evocativa e lirica dell’arte. Pavese è uno scrittore che non si è mai stancato di credere nell’amore; non come lo intendiamo comunemente un incontro tra due anime e due corpi, ma tutta la concezione della vita. Come uno sperimentatore cercava riprove e verifiche di questa sua convinzione. Era così amareggiato da fare degli studi sul sonno non costellato da incubi, fantasmi e ricordi; sonno allo stato puro. Aveva dell’amore una concezione così alta da spaventare le donne che entravano nella sua orbita sentimentale. Pavese era dotato di quella benevolenza che solo gli spiriti elevati hanno, ma come corollario ricevano l’incomprensione e l’ostilità dei mediocri. Temeva su tutto la depressione che lo ha sempre tallonato. Avrebbe trovato questa epoca invivibile; troppo avvelenata dall’odio, dal rancore, dai risentimenti. Siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà, a coltivare qualche piccola pazzia. Lo scrittore, quando si è convinto di non riuscire a rendere grande il più possibile l’amore per l’umanità, ha scelto di non farne più parte. Ha preferito la riposante dolcezza dell’oblio anticipato. Si fece tentare anche dall’avventura politica; vi scoprì soltanto calcolo, intrigo, carrierismo. Tanti bruschi incontri con la verità davano fondamento alla sua innata depressione. La spiaggia, il mare, per lui, erano come un ritorno all’infanzia, intesa come mito. Dedichiamo questo breve paragrafo a un poeta che andrebbe ancora studiato. Uomini e donne che lo hanno conosciuto erano terrorizzati dalla libertà del suo pensiero. Una personalità troppo complessa, uno scrittore troppo grande poteva essere vivisezionato soltanto dopo la sua morte. E’, forse, il più attuale nella letteratura non solo italiana e il sospetto che sia messo al bando per questo è ipotizzabile.
Maurizio Liverani