L’ARDITO ROMPICOLLO

di MAURIZIO LIVERANI

Di fronte a questa “politica mortale” la maggior parte degli italiani, che ha accordato fiducia al trio gialloverde, è delusa. Tra i delusi stanno prendendo piede gli arrabbiati. Gli avversari sembra abbiano voluto le elezioni per dedicarsi al ricompattamento partitico e concedere a chi li ha sconfitti tutta la loro pochezza. Conte, Salvini, Di Maio non sanno che cosa sia fare politica in Italia, o meglio, lo sanno così bene che è bastato poco tempo perché ognuno di loro andasse per la propria strada. Finora a farne le spese è la nostra economia che nel volgere di pochi giorni offre dati che sono al crocevia della recessione. Potremmo dire che il problema dei migranti è servito per mimetizzare il passaggio dalle facce di bronzo del cattocomunismo a quelle di vanitosi capaci solo di incitare all’odio. Sorprende che con tanti inviti alla rivolta appaiano delle testoline di protozoi privi di esistenza individuale. I colpi che infliggono alla nostra economia conferiscono al capo dello Stato una carnagione fegatosa eppure ha sempre l’aria di essere sincronizzato con un grande destino. Ha più autorità Silvio Berlusconi, privo di voti, che l’uomo del Colle; invitando Matteo Salvini a rompere con il leader del M5s, ha ridato coraggio alle contrapposizioni striscianti tra le varie formazioni. Effettivamente, Luigi Di Maio fa rimpiangere i vecchi tromboni, cioè coloro che hanno enormi difficoltà a reprimere gli istinti al saccheggio. “I politici”, scriveva Vittorio Gassman sul ‘Dramma’, “continuano a masturbarsi, a rubare o, semplicemente, a esercitare il freddo gusto del potere per conto loro”. In questo momento accuserebbe Salvini e Di Maio di essere, più che ladri, degli incapaci. A dare un carattere dignitoso al governo non c’è che Giuseppe Conte il quale è stato scelto per ridare coraggio al nostro Paese da Donald Trump. Il presidente Usa ha visto in lui un politico animoso e pugnace. Continuando su questa strada non tornerà di moda “Bella ciao”, cantata da un dio con il pugno chiuso, ma l’inno nazionale americano. Le defezioni dal M5s sono in continuo aumento; alcuni aderenti vengono messi al bando dagli scherani di Di Maio. Dei tre leader al potere il solo ad avere una funzione propulsiva è, appunto, Conte che ha il vantaggio di essere un volto nuovo oltre a essere dotato di una certa duttilità politica. Gli altri non lo amano, ma temono la sua intelligenza; non hanno in mano, in questo momento, le risorse per giocare con lui al ribasso. Salvini medita di aprirsi un varco con le consuete scalmane; la sua immagine ha sempre lasciato dubbiosi chi seguiva la sua politica. Appena eletto ha cercato di dare di sé un ritratto niente affatto allarmante; più che come un capo rivoltoso si presentò ai nuovi elettori come un pacato polemista. Ma appena si è fatta strada la convinzione che non avesse nulla a che fare con la “ferocia” ha mostrato il suo volto di retrivo borghese. Il suo intento era di portare frange di facinorosi al potere, ansioso di porre una tregua all’odio di parte; così si è attirato l’astiosità dei moderati e ora cerca di ricomporre il cerchio tragico del “fine giustifica i mezzi”. Berlusconi è convinto che gli italiani sono ancora capaci di dissentire, che in vaste zone del Paese si vuole invertire il corso di questa politica suicida. Con chi allearsi? Da tutto questo baillame, parrà strano, ma chi riacquista prestigio è proprio l’uomo di Arcore; il suo schema si adegua a quello di Conte. Amaramente, in Italia si ha nostalgia della vecchia democrazia. Repetita juvant.

MAURIZIO LIVERANI