- di MAURIZIO LIVERANI –
- Il 28 gennaio sarà presentato, alla Casa del Cinema di Roma, un lavoro su Alberto Sordi. Alberto stato definito l’antieroe, il bullo, lo spaccone, lo strafottente. Il suo maggior merito, se così vogliamo chiamarlo, è quello di non aver camuffato le bassezze con ipocrita rispettabilità affinché nascesse il ritratto di un uomo di buona indole, ma con un forte senso critico capace di riconoscere la debolezza dell’animo, la viltà, l’invidia; un uomo credente e praticante senza essere bigotto; un uomo fiero di essere italiano. Nel 1966 gli chiesi di ritrarsi con le sue parole senza l’intermediazione dell’intervistatore. Ne è uscito, poi, un libro dal titolo “Sordi racconta Alberto”. Ci sono attori che lamentano l’avvento della vecchiaia essendo appena sopra i quaranta. Sordi a settantacinque era l’uomo faro in mezzo al mare degli anni. La domanda che più lo indispettiva era questa: “Hai già individuato il tuo erede?”. “Ma quale erede, se so qua io!”. Non si univa al branco degli altri comici. Il grande critico d’arte Federico Zeri lo mette, con Totò, diverse spanne al di sopra di tutti. Può un dio della risata avere un erede? Al massimo dei seguaci. Tutto lasciava pensare che stesse per suonare un nuovo gong per questo attore inimitabile cui occorrevano due aspirine al giorno per stare in buona salute. Il suo humour discendeva dall’acido acetilsalicilico e da un po’ di superalcolico degli scozzesi. “In piccole dosi”, precisava. Era amico di tutti, ma soprattutto di se stesso. Stimava Giulio Andreotti; “L’unico uomo politico che abbia fatto qualcosa per il cinema”, diceva. Con o senza forbici della censura, poco importa. Se il “divo Giulio” presenziasse alla proiezione del film che Sordi avrebbe voluto fare sulla sua persona, e non ha mai fatto, avrebbe avuto ovazioni dalla folla. Sordi ne avrebbe gioito, non esitando ad affermare con Bismarck: “’Non si mente mai tanto quanto prima di una elezione, durante una guerra o dopo una partita di caccia’; o dopo un mio film”. Non lo diceva apertamente, ma considerava i comici attuali mortali parassiti che annunciano la fine di una razza. Un comico che si schiera a destra o a sinistra non è più un comico. Sordi ha preso in giro prelati, politici democristiani e persino il papa. Nella vita le scelte ideali possono divergere dalla comicità. Altro che eredi! L’unica cosa che riusciva a dir chiaro è: “Paga tu…”. L’uomo osteggiato per tanti anni dalla sinistra si è imposto per volontà propria sull’etnica italica che in lui si riconosce. Il “credo” è Sordi da quando nel lontano ’52, al festival di Venezia, spadellò il famoso pernacchio dei “Vitelloni”. “Lavoratori, prr, prr…”. A riderne più degli altri furono proprio gli operai, presaghi di quale destino tanta politica avrebbe loro offerto. Quel pernacchio pose fine sul nascere alla figura dell’uomo nuovo. Da allora Sordi è il personaggio guida che ci ha insegnato a sopravvivere in questa Repubblica dove o si è fessi o si è furbi. “Macchì te credi d’esse”, “Ma ndo vai”, espressioni romanesche con le quali Sordi ci riconduceva sempre alla nostra essenza originaria: quella di passare incolumi in mezzo al clamore di tanti nobili ideali strombazzati da destra a sinistra. Sordi ha distrutto pompose retoriche, ha assicurato il “continuismo” dello scetticismo nazionale. Nessuno meglio di lui ha fotografato la moralità degradata. Non è un fotografo neutrale, anzi, dà sempre segni di redenzione. Se le speranze si fanno attendere, poco male. Basta la salute e tanti, tanti soldi. I soldi è meglio spenderli per i poverelli della parrocchietta. “Ma ndo vai se la banana non ce l’hai?”. La canzone del film “Polvere di stelle” sta per diventare inno nazionale da quando abbiamo come governanti “scaccini” più adatti a ripulire le navate. Quando nelle visioni private si accorgeva che i presenti si lasciavano vincere dal sonno, intonava l’aria della “Turandot”: “Nessun dorma…” con la sua bellissima voce di baritono.
MAURIZIO LIVERANI
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