di Maurizio Liverani
Consultare di tanto in tanto Franz Kafka ci esime da dare importanza a tante cose, ma, soprattutto, al giornalismo. L’indimenticabile scrittore annota: “Il giornale presenta gli avvenimenti del mondo pietra accanto a pietra, lordura su lordura… che senso ha vedere la storia come un cumulo di avvenimenti… ciò che conta è il senso degli avvenimenti… e questo non lo si trova sui giornali, ma soltanto nella fede e nell’oggettivare ciò che sembra fortuito…”. In questo momento nella nostra politica c’è chi assapora il piacere, che non arriveremo a chiamare sadico, ma cattivello, della caduta del dalemismo. Questo piacere ci è stato offerto per la prima volta dal presidente del Senato, negli anni ’90, Nicola Mancino con un suo intervento. Discorso scritto, non improvvisato, vale a dire meditato con cura nella sostanza. Nelle cartelle, Mancino vergò una frase che dette la stura a un accordo tra due fazioni politiche. Un passaggio illuminante, che si riferiva all’allora presidente del Consiglio che si comportava come un asso piglia tutto. I giornali riportarono poi la frase: “Un partito che non arriva al diciassette per cento non può pretendere di occupare tutto”. Da quel momento la piĂą feroce definizione anti – Mancino fu questa: “crede appassionatamente alle idee che non ha”. Però con quel discorso aspro, lucido e chiaro non si capì come, sin da allora, non sia diventato un gloria ufficiale. I postcomunisti non gli hanno mai perdonato la spregiudicatezza con la quale smascherò, in una sede importante, il loro gioco: “D’Alema porta avanti una politica liberista e troppo comodamente spiegata come conseguenza dell’adesione alle regole del mercato”. Poco dopo Nanni Moretti invitò, scherzosamente, D’Alema a dire qualcosa di sinistra per dimostrare politicamente di non essere un “caposcarico”. D’Alema non disse nulla nĂ© di destra nĂ© di sinistra; continuò soltanto una politica di copertura dei grossi capitalisti. Mancino non si nascose dietro il linguaggio consueto dei democristiani; disse le cose come stavano, come tutti potevano vedere, anche se i “grandi” commentatori della “grande stampa” non ebbero il coraggio guardarle. L’allora presidente del Senato affermò che i diesse cercavano soltanto onori e prebende, e mai si sarebbero sognati di mutare il loro ipocrita apostolato di sinistra che nasconde una sostanziale “scelta conservatrice”. Mancino si inimicò tutti i partiti di sinistra. In sostanza, faceva intendere che i postcomunisti da utili furbi si impossessavano di Tangentopoli. Dobbiamo affermare che da tempo il regime dei professionisti della politica formano un totalitarismo perfezionato che ricorre a tutti i mezzi di costrizione suscitando, programmaticamente, il conformismo. I professionisti della politica, allora definita diessina, non hanno mai avuto niente in comune con gli altri tecnocrati. La loro meta è stata, ed è, quella di conservare il potere. Mancino ebbe il merito di non tacere; attese il momento opportuno. Geniale fu anche nelle previsioni del futuro: capì quello che sta accadendo oggi; ha tracciato con mano sicura la linea ascendente del nuovo cattocomunismo. Poteva essere una guida ideale di un partito alla ricerca della propria identitĂ ; invece, da quel giorno è cominciato il suo oscuramento.
Maurizio Liverani