di MAURIZIO LIVERANI
Papa Francesco riporta spesso alla mente Paolo VI, l’alto prelato turbato dal dubbio che il cristianesimo possa approdare al fallimento. L’attuale pontefice crede che si possa essere cristiani non nel senso assoluto della parola. Si può esserlo relativamente, ma se lo si è “assolutamente” anche il puro e l’innocente può cadere nella trappola del male. Dietro l’angolo c’è il diavolo, il male che ha una sua attrattiva e un suo fascino, soprattutto perché restituisce il credente alla fede per rimbalzarlo nuovamente nel male. Il papa riscopre il cristianesimo insegnato da Miguel de Unamuno, esponente di spicco durane la dittatura di Primo de Rivera, cultore di Kierkegaard, tentato tra l’ateismo e la fede, in particolare sul conflitto tra morte e desiderio di immortalità. Racconta Luis Buñuel nel film “Nazarìn” che ci sono credenti che hanno la forza di credere, chi più chi meno. Il regista, in altre parole, si opporrebbe al cristianesimo di papa Francesco più modesto e carico di suggestioni popolaresche. L’esasperazione del senso della liberà immaginativa appartiene, ad esempio, a registi come Buñuel, autore di “Bella di giorno” con Catherine Deneuve, dove la devozione a Dio si accompagna alla devozione per la pornografia. Espressione di vecchie avanguardie parigine, l’autore spagnolo è una specie di cavaliere errante della cinematografia mondiale, intento a raddrizzare i torti commessi dal conformismo e dalla superstizione. Ma fa pensare anche al libertino settecentesco, come l’ebbe a definire Emilio Cecchi: “Il bello spirito e lo spirito forte, il ‘miles gloriosus’ delle farmacie filosofiche, l’anarcoide, il cinico, l’individualista, l’immoralista per partito preso…”. Il tutto con un colorito spagnolo (intonato a Quevedo, Goya e altri grandi) che non è certo accattato, ma gli rifiorisce nel sangue. Questo spagnolo, che fu amico e compagno di Garcia Lorca, gode una giusta fama di anticonformista, anzi di rivoltoso, e il suo nome figura ai primi posti nel martirologio dei registi censurati. “Cane andaluso”, “L’âge d’or”, “Los alvidados”, “Viridiana” costituiscono le massime punte polemiche del cinema ispanico, oggi passato, dopo tante tempeste, agli onorati riposi delle cineteche. “Belle de jour” è, appunto, lo specchio, lavorato a regola d’arte, di questo straordinario temperamento. Non è la descrizione di un caso clinico, o l’analisi di una giovane ninfomane. L’opera è più ambigua e sottile. Il dialogo è esplicito. “Non ci si annoia mai in un bar”, dichiara un personaggio, “Non è come in chiesa dove si resta soli con la propria anima”. Buñuel è un provocatore che si diverte a scandalizzare; ma conosce anche i limiti dello scandalo che provoca. Il suo film non ci dà una visione del mondo da poter seriamente impensierire governi e fedi religiose, ma è una riabilitazione di Epicuro, maestro di umana saggezza che ha insegnato agli uomini che il piacere è l’unico bene e che la virtù esiste nella scelta o nel calcolo dei piaceri. L’abate Pierre Gassend, detto Gassendi, non pretendeva, forse, che tutta la filosofia epicurea può essere, con correzioni opportune, messa d’accordo con la fede cristiana?
MAURIZIO LIVERANI