di Maurizio Liverani
Bisognerà trovare molto presto un titolo onorifico, ma contenente libertà di attivismo, per Giorgio Napolitano. Per quello che sta accadendo nel cortile di Sergio Mattarella c’è qualcuno che è in allarme. L’attivismo del nuovo capo dello Stato dà sui nervi a chi vuole relegare questa figura nel ruolo – se proprio necessario – di esempio, come lo sono stati Carlo Azeglio Ciampi, Giuseppe Saragat (soprattutto tra i viticoltori), Sandro Pertini. Esempi ce ne sono stati tanti e quindi si può fare a meno di lesinare. Pare che Napolitano non si accontenti di essere considerato un esempio qualsiasi. In un momento in cui è stato incline al buonumore pare abbia detto che per lui esempio equivale a capo di una lega. La verità è che non ha alcuna intenzione a dedicarsi a un’esistenza oscura, quella che gli ha procurato il passare degli anni e che voglia essere ancora artefice della politica italiana; pretende di essere informato sulle grandi questioni. Il super attivismo dell’attuale presidente della Repubblica lo rende irritabile; non può negare che sia un politico con i fiocchi, onesto, meticoloso, morale. Però per un ex comunista è pur sempre un settario; cita spesso alti ideali come quello della patria, è assertore di quella retorica che si trova nei libri scolastici. Non è una grande anomalia; lo è qualche volta quando il capo dello Stato anticipa il capo del governo sulle questioni importanti. Non è un buon segno per i comunisti che un democristiano, salito al Quirinale, faccia gran sfarzo di nobili ideali e di alti pensieri. Nell’encomiastica dei suoi ammiratori è già considerato una guida. Napolitano era sicuro che questo titolo fosse stato concepito per lui; in ogni modo è disposto a condividerlo. In questi casi si mette in moto un meccanismo per scoprire se si tratti di autentici uomini nuovi o se invece siamo ancora una volta, difronte ai soliti arruffoni che per uscire dal coro si atteggiano a baritoni.
Maurizio Liverani