di Maurizio Liverani
Alberto Sordi, scomparso quindici anni fa, ha voluto morire nella casa dove era nato in Trastevere e non nella villa all’inizio dell’Appia Antica. Di noi, Albertone è stato precettore, maestro, mentore. Con il suo humour ha mostrato la vita dell’italiano medio nel dopoguerra; ha fatto riflettere sui difetti e sulle colpe di una umanità cinica avvolta in ideali in cui non crede, incapace di solidarietà e priva assolutamente di senso civico. L’assurdo è che tutte queste negatività sono state sublimate in personaggi che suscitano ilarità senza traccia di ravvedimento. Si arriva al punto che anche i tentativi di riscatto sono avvolti da irrisione. Il tratto tipico del romano dalle origini a oggi è di amare i vizi; chi non li ama è visto come chi non ama gli uomini. Tutta l’umanità spregevole che ha mostrato Sordi potrebbe sembrare paradossale, ma è prossima al vero. Questa verità non riguarda solo l’Italia, ma è riscontrabile anche in altri Paesi. Il merito di Sordi, se così vogliamo chiamarlo, è quello di non aver camuffato le bassezze con una ipocrita rispettabilità. Il critico d’arte Federico Zeri lo mette, con Totò, diverse spanne al di sopra di Marcello Mastroianni e di Vittorio Gassman. “Che ce posso fa. Io quelli li stimo molto. So’ bbravi, ammazzete quanto so’ bravi!”. Alla domanda: “Hai individuato il tuo erede?”. “Ma quale erede, se so’ qua io!”. Man mano che dalle Alpi al Sud ci siamo “romanizzati”, anche gli italiani, scontenti di se stessi sin quasi alla ripugnanza, si sono riconosciuti in lui eoggi dicono, dalla Padania alla Sicilia, “ammazzate quanto so’ bravo”. L’Unità d’Italia si è fatta con Alberto Sordi, tanto che Ennio Flaiano diceva scherzosamente: “Abbiamo fatto l’Italia, ora bisogna fare i… sordi”. Incompreso per tanti anni, l’attore si è imposto per volontà dell’etnia italica che in lui si riconosce. Il suo “Alberto” cinematografico ha distrutto ampollose retoriche, ma non si è immedesimato in questa moralità degradata; l’ha presa per il gabbo, prestando la sua immagine, facendoci intravvedere “Tangentopoli” sin dagli anni ’50. Ci ha insegnato a guardarci dai retori, dai capi partito, dagli alti prelati. E’ stato cattolico: questo non gli ha impedito di prendere in giro il Papa. Nella vita le scelte ideali possono divergere dalla comicità. Quello che non capiscono i comici d’oggi che denunciano la loro appartenenza politica. Il tempo aggiusta le prospettive. Il film che avrebbe voluto fare – “Galeazzo Ciano” – non sarebbe stata una provocazione politica. Non sarebbe stato un film “anti”, bensì il ritratto di un vitellone littorio, l’amabile caricatura di un vitale personaggio che assume le pose del regime con inflessioni ironiche. Questa intenzione me la manifestò al festival di Venezia qualche tempo prima di morire, pregandomi di sottolineare, data la simpatia del personaggio, che non voleva prestarsi a polemiche facili a destarsi in Italia, come vediamo in questi giorni. Sordi non finiva mai di sorprenderci, arrivava là dove tanti giungono con il treno merci delle scopiazzature e sfrucugliando psicologie. Aveva la nozione e il sentimento delle cose della vita; non aveva nulla da dividere con il ciabattante umorismo di tanti imitatori. La sua comicità sgorgava da una vena autentica.
Maurizio Liverani