L’IDEA-FASTIGIO DI GENTILONI

di Maurizio Liverani

Sentirsi sicuro come capo del governo è l’ideale dell’attuale premier Paolo Gentiloni. Alla propagazione di sicurezza contribuirebbe, soprattutto, la Cia che ha già affidato per il tempo necessario la guerra del Kosovo a un leader postcomunista affinché gestisse questo conflitto senza timori. Questo monopolio ha dato i suoi frutti prima di passare in altre (americane) mani. La tecnica per il mantenimento del potere è sempre la stessa; si amplificano le capacità del premier del momento perché diventi convincente e non irriti l’elettore italiano. Questa è, all’ingrosso, la politica dominante. Il capo di governo non deve mai far mostra di essere saturo di ideologia; non gli nuoce un’apparente incapacità di innestare nella sua amministrazione principi tratti dai più grandi testi. Mai trafficare in massime retoriche; mai essere troppo giubilanti. Una mossa azzeccata non deve apparire frutto di eccessiva saggezza politica; il merito va soprattutto accordato alla cosiddetta “congiuntura favorevole”. Gli esperti chiamano questo modo di condurre le leve del potere “regime secco”, cioè arido di entusiasmi, quelli che accompagnano invece un “regime umido”. Insomma, Gentiloni non deve mai megalomaneggiare. Deve apparire rigido come un attizzatoio quando annuncia, ad esempio, una consistente ripresa; non deve andare oltre i limiti che gli sono stati assegnati. Un Prodi, al suo posto, andrebbe in tutt’altre direzioni pavoneggiandosi e dimenticando il manuale Cia del buon governo. Un governante, anche se si comporta perbenino, non deve uscire dal pollaio. Deve sempre far intendere di essere entrato dalla porta di servizio e dirsi preoccupato di un avvenire ancora incerto. Anche nei momenti più fulgidi, deve avvertire che il Paese vive ai confini della bancarotta. Gentiloni deve apparire come l’uomo del faro in mezzo al mare più turbolento. Il buon esito di alcune sue manovre, segnalate ed elogiate dalla stampa, devono avere sempre un accento trascurabile nella storia del perpetuarsi di tante calamità. In sostanza, per farsi accettare e apprezzare deve segnalarsi come uomo di passaggio, indistinguibile dal branco. Chi lo sostiene lo loda senza fargli mancare avvertimenti critici. Deve essere un cratere che lancia lapilli non vampate. Se accetta questo comportamento può essergli concesso un’ampia arcata di governo, senza mai atteggiarsi a vittima di congiure. Gli apprezzamenti giunti da oltre oceano sono gli stessi che sarebbero dietro la fine di Moro e di tante vicende oscure della storia italiana. La Cia ha bisogno che in Italia governino uomini prudenti. Gentiloni ha il merito, o l’astuzia, di conciliare punti di vista differenti anche di figli reprobi, considerati sempre membri della famiglia. Insomma, una più cauta, non esaltante conservazione del potere. A sostegno di questa impostazione si vedono costretti anche i magistrati, i quali hanno fatto attenzione a questo mutamento dell’opinione pubblica. Se il comportamento della giustizia riprendesse il cammino consueto, cioè quello “giustizialista”, e non proclamasse la sua estraneità ai fatti politici, si verificherebbe un ritorno all’antico. L’idea della “persecuzione politica” porterebbe, questa volta, a un generale disprezzo verso la legge. Segni di un ritorno al passato non se ne vedono; questo garantisce una certa, per ora, “perturbazione euforica”.

Maurizio Liverani