di Maurizio Liverani
In casa cinque stelle spira un certo nervosismo. Apparentemente le vicende politiche del Comune di Roma vanno nel senso giusto ma, in maniera dolorosa, si sente la mancanza del profeta Casaleggio. Con il compianto vessillifero la selezione dei dirigenti avveniva facilmente perché lo scomparso aveva doti particolari nel valutare le personalità migliori e di calmare quelle che sposano l’irruenza oppure si guadagnano il pane con frasi fatte. Sapeva che il politico, soprattutto quello esordiente, è pronto all’osanna; è sempre un praticone di corte. Per Casaleggio l’esigenza primaria era di non lasciare esplodere qualche “mortaretto” alla Di Maio, pronto a guadagnare i primi posti senza prima aver concertato un’azione comune, la sola che, concordemente, può portare al cambiamento della politica. Non voleva cadere nell’errore in cui sono precipitati i piloti degli altri partiti che si sono affidati a un reclutamento di massa dal quale poi sono emersi, atteggiandosi a “cavalli di razza”, mezze calzette che, danneggiando il loro partito, hanno nuociuto all’intero Paese. Gente facile a sciogliersi da un guinzaglio e legarsi a un altro. Un altro, oltretutto, che non chiede adesioni cieche e assolute. Casaleggio conosceva a fondo la frenetica smania di adattamento e di integrazione dei nostri politici; su questo capitolo era “severo” non per antidemocrazia, di cui alcuni lo accusavano, ma perché il solo modo – la coerenza – per raggiungere risultati. Ispido di intuizioni, ha guardato dentro i nuovi adepti temendo che dietro il loro slancio ideale si nascondesse uno sfrenato arrivismo. Bisogna sempre tener presente che l’italiano, sin dalla culla, è ingordo di successo e di denaro. Mai fidarsi dei fiancheggiatori, capaci di produrre spostamenti ora in un senso ora nell’altro mancando di quella che una volta era chiamata “dirittura morale”. Una trita invidia nutrono verso Casaleggio e il Movimento i capi deposti degli altri partiti che non hanno capito in tempo come in politica sia indispensabile non primeggiare singolarmente ma agire con un’azione compatta di squadra. I valori tradizionali della vecchia politica sono questi; se a questi non ci si attiene, non per obbedienza disciplinata e servile, la politica dei pentastellati rischia di offuscarsi e deformarsi. Sembrerà strano ma questa è una vera ideologia, non una tirannia. Una tirannia che non ha il sapore sgradevole di una dittatura ma di azione solidale perché, prima di sceglierla, è stata discussa e approvata. Chi deraglia è escluso.
Maurizio Liverani