FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
L’INCONTENIBILE LIZ
-Parte II-
(segue dalla precedente puntata)
…Prima di accompagnarmi sul set della “Strega”, una signorina mi aveva avvertito di non dire che ero italiano e prima ancora se non ritenevo più opportuno di rinunciare al colloquio. “Non sarà un incontro facile, mi aveva detto, “Burton è irritato con i giornalisti in genere e i giornalisti italiani in particolare”. Senza punto lesinare in aggettivi la stampa italiana si era avventata su Liz, alias Cleopatra, affibbiandole qualifiche come “inelegante”, “pingue”, “sudata” e paragonando la regina egiziana, cui ha dato vita, alla moglie grassa e viziosa di un proprietario di un supermarket in vena di snobberie e nudismo. Ma fra i giudizi su Liz e quelli su Burton, che è Marcantonio, è stato soltanto in palio il primato del cattivo gusto perché anche su di lui non è stata usata la mano leggera. “E’ tozzo”, “trasuda volgarità e antipatia”, “quanto meno appare sullo schermo più il film ne guadagna” sono giudizi dati per davvero. E contro il loro cattivo gusto Burton – mi disse la signorina che mi accompagnava – si sarebbe adontato. Con queste premesse il minimo che potevo attendermi era di vedermi rinfacciare i soliti spaghetti o di vedermi obbligato a stampare una serie di contumelie contro la critica italiana. Avrei sorpreso Burton in una crisi di rabbia e affrancato da ogni autocontrollo. Invece di dirmi: “Be’, che aspetti di andare fuori dai piedi?”, Burton mi spiegò che non approvava le esagerazioni che perseguitavano la moglie. “Liz è bella, forse più bella di quanto dicono le fotografie. Trovo assurdo, ridicolo che si dica che è la donna più bella del mondo. Non le pare?”. Che fare? Mi chiesi, rido come di una spiritosaggine o faccio finta di meditare su di una profonda rivelazione? Burton scrutò per un poco di dietro il cespuglio delle sue sopracciglia il mio volto imbarazzato; poi mormorò con tono incoraggiante: “Vorrei che lei mi dicesse la sua opinione. Non le pare che sia giunto il momento di mettere l’accento sulla personalità di Liz, sulle sue qualità invece di continuare a occuparsi delle sue proporzioni?”. Quella domanda relativa alle qualità di Liz mi fece perdere quel po’ di coraggio che ancora mi restava dopo tutte le raccomandazioni dell’accompagnatrice. Sotto lo sguardo sospettoso e indagatore di Burton, timidamente dissi che ritenevo Liz Taylor “una delle dive più dotate dello schermo” nella speranza di veder disserrare al sorriso la sua bocca. Mi accorsi subito che la mia frase cadeva in un silenzio di morte. Poi d’un tratto un sobbalzo sulla sedia con la vaga sensazione che un tuono irrompa sulla stanza. Mi guardai introno sgomento e mi ci volle del tempo prima di rendermi conto che quel boato era soltanto la risata di Burton; nasceva, pantagruelica e rotolante come una frana di macigni, dal basso ventre e dopo una serie di convulsioni tra ululati e ruggiti, squassato dal parossismo Burton, sghignazzando, si resse la pancia e gridando “Ohi! Ohi!” se ne andava verso la porta. Dopo un po’, riacquistando il suo equilibrio, riapparve. “Vede”, disse mentre io lo guardavo stupefatto, “la bellezza è un fatto dell’anima. Non va misurata con il metro. Per esempio, Liz ha la tendenza ad avere il doppio mento. Non è alta di statura. Eppure io la trovo estremamente attraente. Non ho ragione?”. Misurando a quali pericolose deflagrazioni potesse dar luogo una mia risposta, dissi: “Sì, ha ragione”. A quella risposta l’involucro di sussiego di Burton saltò in aria nuovamente; la risata riprese quota lentamente come un pallone che si sia liberato di un altro sacco di zavorra. E questa volta i singulti che squassavano Burton contagiano gli altri, “gorilla” compresi. Il parossismo si quietò allorché, severa, entrò sul set Liz, “La bisbetica domata”. E con lei entrò una smorfia di disgusto, di riprovazione e di austerità, ma con il consueto ritardo. Della “Bisbetica domata” il regista è Franco Zeffirelli. Dopo essere stato aiuto regista di Visconti e di Rossellini e dopo aver diretto un film, “Camping”, ha deciso, per dirla alla Savinio, di “sbagagliare” dal luogo di “pena” del cinema, insofferente dei troppi condizionamenti. Al teatro e alla lirica ha dato regie memorabili. E’ tornato dietro la macchina da presa per un film su San Francesco. La figura del santo appartiene alla storia ecclesiastica e a quella civile. Diversamente da Rossellini, regista di “San Francesco giullare di Dio”, la vita del santo è vista non come un’arcadia francescana. Ma anche Zeffirelli illustra un’esistenza vissuta senza sforzo, fuori della struttura ferrea e potente del medioevo. La riuscita migliore di Zeffirelli nel cinema si ha con Shakespeare. Artista “aristocratico” ha cercato di riportare nello stesso cerchio la vita popolare del santo, umile com’è la terra e la povertà. Ottenuta la consacrazione internazionale, soprattutto con la lirica, ha scelto la libertà di dire tutto quello che pensa sullo spettacolo italiano, troppo agganciato al carro della politica. Può elevarsi al di sopra degli opportunismi che inaridiscono la vita culturale italiana.
MAURIZIO LIVERANI
(la 1^ puntata è stata pubblicata nell’edizione dell’11 marzo 2020)