di MAURIZIO LIVERANI
Da Giovanni Floris e da Bianca Berlinguer Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno mostrato tutta la contentezza di essere ormai dei vessilliferi importanti della politica italiana. Ne sono coscienti sino alla “disperazione”; confermano quanto scriveva lo storico Renzo De Felice che indispettiva l’intellettuale “organico” per la sua ostinazione a insistere su una conoscenza tutta negativa del fascismo. Come un disco usato, i due leader ripetono che il pericolo è la sinistra. Sul fascismo che alligna in tutti i partiti, possiamo ricordare quello che pensava e scriveva il liberale Piero Gobetti, cioè, che gli italiani sono pervasi da sempre di una forma di “mussolinismo”. Pier Paolo Pasolini non vedeva alcuna differenza apprezzabile (al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando) tra qualsiasi cittadino fascista e qualsiasi cittadino antifascista. Sarebbero culturalmente, socialmente e, quel che più conta, fisicamente intercambiabili. Questo spiega l’annichilimento, l’insulto contro l’autore delle “Ceneri di Gramsci”, ma soltanto dopo la morte. Va ricordato che lo scrittore non volle iscriversi mai al partito comunista, animato da una forte avversione contro quei compagni che avevano fucilato suo fratello. Il malumore di molti compagni illustri per quanto avviene in casa piddina si legge sui loro volti. L’osservanza dei riti ha imposto a tutta la sinistra di parlare della restaurazione fascista come se sollevasse il coperchio sotto il quale si accumulano molte perplessità che, più di trent’anni fa, indussero lo scrittore francese Jean-François Revel a documentare in vari testi le caratteristiche del comunista. Nel ’70 si chiedeva: “Merita il nome di comunismo un dirigismo repressivo che genera sottosviluppo?”. Il duro giudizio di Revel trova motivo di ragione nella nascita della Lega e del M5s in cui sono confluiti comunisti e fascisti. Tutti coloro che si sono resi conto che il Pd ha prodotto una forma di improduttività autoritaria. Ciò che rimane dell’antica ideologia sono i sintomi; i capi della sinistra se ne sono fatti ormai una ragione continuando, nonostante tutto, a servire l’idolo con una devozione grottesca. Alcuni soffrono, altri restano attaccati alla concezione sociale di Marx su un piano puramente retorico; come scrive Revel: “Stimolo emotivo, astratto, privo di portata tecnica pratica”. Queste cose le affermò in un saggio dal titolo “Né Cristo né Marx” in cui spiega come le due chiese, la marxista e la cattolica, abbiano deciso, in Italia, di salvarsi alleandosi. Un’unione che in pochi anni ha fatto passi da gigante, ma che oggi rischia di apparire come semplice minaccia. Molti dei grandi satanassi del moralismo giornalistico hanno compreso solo ora che Bettino Craxi voleva che questo principio non si affermasse, non per una forma di anticomunismo “viscerale” né per una sorta di anticlericalismo “viscerale”; soltanto per riaffermare la laicità dello Stato.
MAURIZIO LIVERANI