di Maurizio Liverani
A Giacomo Casanova, giunto per la prima volta nella Città Eterna, il cardinale Rezzonico dette di Roma una definizione valida ancora oggi. Disse: “Roma è una città di infarinati, di presuntuosi che passano il loro tempo a parlar male l’uno dell’altro”. Quando il tran-tran rischia di rimpicciolire l’importanza delle conventicole egemoni, il pettegolezzo – più noto come gossip – affiora anche tra i giornalisti-principe. In questi giorni, in un bar, uno di questi, irritato per il grande risalto dato sulla stampa a Indro Montanelli (ingigantendone la figura e il prestigio), ha sbottato: “Ma se anche Longanesi, che lo ha lanciato, una volta disse perfidamente che Indro non sapeva nulla ma lo sapeva ben scrivere!”. A colpi d’ascia questi personaggi si caricaturizzano vicendevolmente. Per esempio, Ercole Patti era definito il “più grande critico cinematografico dormiente”; il critico teatrale Raul Radice, “l’omo nero”; un altro “sicco e panzuto”. Poi si passava alle nefandezze del calcio italiano, alle rotondità gemelle di Silvana Pampanini, a cose più serie come il delitto Calabresi. Tutta manna per i giornali civettuoli. Erano gli anni in cui si portavano zuccherini alla nobiltà del potere e si toccava anche il tasto snobistico. Non è affatto semplicistico interpretare in chiave snobistica la vicenda di “Lotta continua”. Enrico Deaglio riconosceva di “essere snob”; di essere diventato proto-rivoluzionario per ragioni di superiore estetismo. La falce e martello, coniugandosi con lo snob insurrezionale, perdeva vigore ma acquistava prestigio per motivi salottieri. La contestazione, disarmata del proprio impegno, si avvolgeva di questo alone snobistico anche perché i contestatori per ottenere un posto facevano inversione con il ritorno all’ordine. Erano piccoli terroristi in questua di successo snobistico. Ennio Flaiano elencava i vantaggi accordati a questi anarchici snob. Oltre all’“alta considerazione nei salotti”, “illimitato credito intellettuale”. In virtù di questi privilegi lo snob di sinistra nella sua fase snobistica, eccentrica, ricercata, dandistica – in una parola conformistica – è stato ben accolto nella borghesia bene. Ai proseliti snob nell’immediato dopoguerra provvedeva, indirettamente, Palmiro Togliatti grazie al mito dell’uomo di cultura, alla calamita del suo fascino. Gli si invidiava la garçonierre che si era fatto preparare a Botteghe Oscure. Al Migliore si accordava tutto. La garçonierre ingigantiva la sua statura più dei suoi crimini. In quegli anni è scomparsa la credenza della dannazione. Si è giunti persino a scoprire un singolare “lato poetico” nelle purghe staliniane.
Maurizio Liverani