MA CHI HA VINTO?

di Maurizio Liverani

C’è maretta nel M5s; un movimento che ha tutta l’aria di essere sorto per germinazione spontanea. Chi si ribella alla passività riceve il sostegno delle personalità più forti e chi, per alcuni capricci di Di Maio non si adegua al vero leader Matteo Salvini, riceve consensi anche dai partiti non governativi. Si dà ascolto agli interventi di Salvini; uno di questi, che attinge un certo rilievo, è l’avvio di un rapporto privilegiato italo-tedesco che consisterebbe nel difendere le frontiere esterne. Il leader della Lega ha subito consultato le prime file, mentre il pentastellato Di Maio riceve, con le sue esternazioni, un eco modesto. Ricorda quei ragazzotti dal ciuffo prolisso di “Happy days” cercando di offrire di sé l’immagine di un politico che non si rifiuta agli scontri. Con quell’aria di “cucciolo” viene spesso ai ferri corti con Silvio Berlusconi che, come ricorderete, prima delle elezioni non lo voleva come alleato. Il capo di FI sa che il leader Di Maio rappresenta l’esempio evidente e trionfante del valore della mediocrità; lo considera un tecnico del ramo (?) che non avrà, però, mai nulla di demiurgico. E’ importante questo dato per una compagine che pretende di tenere in mano la guida del Paese per molto tempo. Come leader, Di Maio dovrà vivere a lungo l’esistenza spirituale del pigmeo; in tutte le cose del mondo, diceva il cardinale di Retz, c’è sempre un momento decisivo: “la migliore dimostrazione di saggezza è riconoscere e afferrare al volo questo momento”. Da quando è stato posto ai vertici, il cuore di Di Maio è marchiato a fuoco dal dubbio che il suo “momento” tardi ad arrivare o, addirittura, sia già passato o stia passando. I suoi compari non fanno nulla per liberarlo da ogni incertezza; sanno che il primo ministro Conte è provvisorio. Salvini si vede, con il largo seguito ottenuto, come premier; scruta l’orizzonte e recita il fervorino del “migliore”. Berlusconi sa di poterlo bruciare giovandosi dei suoi collegamenti per renderlo, alla fine, inservibile. La marcia di Silvio è graduale e felpata; tende a intiepidire, a distrarre con adattamenti. I suoi lineamenti sono sempre più machiavellici, non ingannevoli o subdoli, ma aggiornati. Negli anfratti profondi della sua coscienza agisce ancora il Nazareno; ci vorrà molto tempo perché i rimasugli del Pd cedano le armi. Animati dalle migliori intenzioni, pensano che un governo di sinistra, dopo la brusca attenuazione, dovrà rattrappirsi sempre più, come l’egemonia sugli organi d’informazione. L’arroganza è ormai uno “stile” tramontato. Una signora del bel mondo direbbe: “nel Pd ci sono molti maschi, ma pochi uomini”.

Maurizio Liverani