di Maurizio Liverani
Se altrove si ruba “per fare”, a Roma si ruba “per non fare”. La dilapidazione dell’erario nella Capitale è stata premeditata. L’avvento del fascismo coincise con l’accertamento di questa che chiameremo “equazione”. Per combattere il ritorno del fascismo bisogna por fine alla degradazione della morale pubblica e privata; tutti peccati che provengono dalla nascita dell’Unità d’Italia. Non bastano frasi lussureggianti, sublimi per nascondere che da molto tempo la nazione somiglia a un paese di barbari senza avvenire. Per schivare o celare queste verità si inventa un nemico che, a forza di essere segnalato come tale, prende corpo. In questi anni i partiti, in menopausa ideologica, hanno lavorato, a volte consapevolmente, contro se stessi. Più volte abbiamo ricordato come Ferruccio Parri, capo della Resistenza, spiegasse questo fenomeno con la incapacità dei partiti, usciti dal dopoguerra, di governare. Questi partiti con l’antifascismo cercavano di ridarsi una coloritura democratica, una dignità, un’anima “manifesto”. Il rimprovero che non osavano muovere a se stessi si incarnava nell’avversione ostinata contro un avversario ormai sconfitto dalla storia. Quando si combatte un fantasma con tanto ardore questo può prendere forma; si fa diventare un ossicino un “megaterio”. Di qui nasce il fanatismo che è un animale capriccioso, per inseguire con grandi grida e risvegliare impulsi in difesa di una libertà messa in discussione dagli stessi che pretendono di difenderla. Si scambia l’esaltazione di principi corrosi con la sublimità degli stessi principi. Dal vasto calderone dei “non voto” possono provenire turbini reazionari. La sindaca della Capitale, Virginia Raggi, si è allineata con la presidente della Camera, Laura Boldrini, in questa condanna della “marcia su Roma” promossa da chi vuol ricordare questo nefasto evento pur sempre appartenente alla storia. Così facendo, la Raggi ha perduto il brevetto di democratica rappresentante dei romani; avrebbe dovuto, anche in ossequio a una certa astuzia che qualsiasi politico dovrebbe avere, concedere il permesso a una rievocazione che avvenisse nel rispetto delle regole democratiche del buon vivere. Negando questo permesso avrebbe dovuto spiegare perché, dopo tanti anni di cattiva amministrazione, c’è ancora chi ha bisogno di onorare un uomo, il Duce, e un movimento, il fascismo, per illudersi di avere una patria migliore. Non avremo la “marcia su Roma”, ma siamo disposti a sopportare il ”marcio”.
Maurizio Liverani