di Maurizio Liverani
Da quando è sceso al sud, Matteo Salvini sembra aver trovato una animalesca felicità; abbandonando la Padania ha lasciato i guai leghisti a Roberto Maroni. A Roma ha simpatizzato per qualche giorno con Silvio Berlusconi, per poi fargli lo sgambetto. In virtù del suo premierato leghista ha sconcertato molti suoi contestatori che, grazie alle sue accuse, si comportano come semidei. Da antiberlusconiano è entrato, alla chetichella, nell’encomiastica degli oppositori di Silvio. Lo scopo di Salvini è di restare a galla ad ogni costo. Alla ricerca di una più vasta notorietà, con un atto da pigmeo della furbizia, si è messo a fare il tifo anche per Alfio Marchini (se non si candiderà Giorgia Meloni). I guappi tracotanti e intimidatori della Lega si chiedono se non sia impazzito; non capiscono che vuole soltanto mettersi in rilievo plastico sulla scena politica romana dove Marchini ha tanti seguaci grazie alla sua insistenza nello snobbare ogni designazione ideologica. Il politicismo ribassista del candidato romano ha fatto salire le sue quotazioni. Chi si affida allo strepitio appassionato dei partiti lo fa il più delle volte dopo una serrata contrattazione; i comizi sono in gran parte pagati dalle segreterie. Il fumo errante del comunismo cerca di mantenere il posto al sole che ha trovato in Italia. Marchini è l’unico candidato che ha il merito di decretare apertamente la fine delle ideologie; il suo è un modo di presentarsi come un innovatore; non vuole fraternizzare con le conventicole dei politici romani, anzi cerca di mantenere le distanze. Il guaio del nostro Paese è la sinistra che incontra l’aiuto dei cattolici. Che proprio Marchini sia alla testa dell’antipolitica è un interrogativo che angoscia i politici e gli ideologi. La consegna dei suoi avversari è di oscurare la sua personalità; i giornali non mettono in rilievo la sua posizione né la spiegano. La congiura del silenzio induce i romani a pensare che potrebbe essere il leader del domani, disegnando un inebriante avvenire che trasformi gli italiani rattristati in apostoli di una sovrana utopia, prostrata da Tangentopoli.
Maurizio Liverani