di Maurizio Liverani
Della politica è stato detto sino ad oggi tutto il bene e tutto il male possibile. E’ un mondo che non sembra popolato di persone ma di emblemi e i rapporti tra questi differenti emblemi sono tessuti di un odio e di un rancore che escludono ogni efficace azione solidale. Entrando in questo mondo con il Movimento 5 stelle, Beppe Grillo sembrava promettere sapori nuovi. Così è stato, ma è bastato poco tempo perché il noto attore sorprendesse annunciando di mettersi da parte, per subito dopo affermare che, grazie alle esperienze fatte, sarebbe tornato a una militanza di tipo nuovo. Con bonaria tenacia ha dato vita a uno spettacolo in cui si fa apriscatole del mondo politico. Si intitola “Grillo vs Grillo”, al Brancaccio di Roma, in cui con un’aria da “accattone” rivolgendosi agli spettatori fa intendere che è reduce da un naufragio personale con il suo movimento dove tutti cercherebbero di far carriera insediandovisi come spiantati nobilucci di campagna. Chi credeva che l’attore fosse soltanto vorace di pavoneggiarsi come una cocotte prende atto, dal suo soliloquio, che i bersagli politici che vuole colpire sono da sempre fantocci del furto e non promotori di benessere. Con masochistico accanimento, quasi per dispiacere ai suoi seguaci, si presenta smunto e malvestito, provocatoriamente, come un povero essere, un “accattone”, appunto, fiero di confessarlo. Rovescia la satira politica in umiliazione; non è la solita ripicca di chi è deluso e si rivale con la caricatura. Nella catena di montaggio della politica tutti sanno, da anni, che c’è sempre qualcosa che non va; per incepparne l’ingranaggio bisogna impietosirsi degli artefici, mostrarli come esseri di scarso valore dietro la maschera della baldanza. Gente che prende le sovvenzioni come i questuanti le elemosine. L’obolo dello Stato a loro non basta mai; non basta il pane, ci vuole anche il companatico. Franco Cordelli, sul “Corriere della Sera”, recensendo lo spettacolo, sostiene che il comico, convocando ai piedi del palco i parlamentari grillini, si disfa con loro di se stesso mettendo in bocca a ciascuno un grillo abbrustolito, vero o finto che sia. Il testo sconcerta ma fa riflettere; procura un ulteriore allontanamento dalla politica. E’, potremmo dire, un capolavoro di psicologia. Il politico, intende, chiede agli elettori di dargli il voto altrimenti non saprebbe come concedersi la villa sul lago. E’ qui che Grillo diventa capopartito. L’antipolitica con “Grillo vs Grillo” si installa decisamente, senza mezzi termini, sulla scena. Viene in mente quanto diceva Stevenson della politica: “E’ forse la sola professione che non richiede alcuna preparazione”, incalzato da Talleyrand: “E’ sempre stata e sempre sarà un certo modo di agitare gli uomini prima di servirsene”. Grillo si rivela un contestatore voltairiano che con questo spettacolo cerca di sbarazzarsi di quanto gli rimane di fiducia nella politica.
Maurizio Liverani