di Maurizio Liverani
Nel momento in cui sul quadrante della storia italica batte l’ora del socialismo democratico, i socialdemocratici (che sarebbero, in verità, gli ex del pci, gli ex berlingueriani, gli ex marxisti che hanno appena annusato il Capitale) sembrano dei sopravvissuti, dei naufraghi, dei mutilati. Soltanto la televisione e qualche organo di stampa hanno per loro qualche granello di carità. La malinconia è raccolta nei loro visi tanto che la cosiddetta base comincia a essere perplessa; si domanda (dopo aver cercato di scorgere nel volto da “puponi” invecchiati di D’Alema, Grasso e Prodi) se il partito non sia ormai vittima di una sorta di atonia della mente, se non sia, cioè, “tocco”. Matteo Renzi ha l’aria di dire non aspettatevi da noi lampi di genio. Effettivamente, il buon Matteo è un politico di una certa elevatura; è diventato autorevole pur non essendo un onorevole. Tuttavia non è azzardato piantarlo tra i “grandi” come un alberello di specie rara. Il suo valore è riconosciuto, una volta per tutti, perché è “fiorentino” ed è stato sindaco della città. Essere fiorentino, in questo momento, equivale a proporsi come uomo politico di qualità; non ce ne eravamo accorti, ora sappiamo che il pensiero politico pare si trasmetta se si è concittadini del grande Machiavelli. Al “fortunato” si riconosce una supremazia certificata dalla sorte; Renzi appartiene già, così giovane, al “pantheon” degli spiriti sommi. Non siede nell’aula “sorda e grigia”, come la definì Mussolini (sbagliando perché, al contrario, è abbastanza carnevalesca, almeno ai giorni nostri), per continuare pigramente il pensiero del grande scrittore fiorentino. Matteo pare sia assorto in un unico pensiero: quello di essere concittadino di un sommo; sulla scena politica sembra giunto dalla stratosfera non come un aereolito, bensì come una foglia carnosa planata ondeggiando dopo essersi staccata dal ramo. Con il suo machiavellismo, rende inutile e superfluo registrare le sue idee; cerca di contenere la sua spavalderia un tantino insultante, ma a volte “omini” politici lo costringono a concedersi alla brutalità. C’è un incolmabile abisso tra lui e la politica attiva italiana e questo spaventa un po’ tutti. Le vicende del suo partito registrano, nella gran cagnara prodotta dagli scarti del passato, ogni giorno un punto di popolarità sul conto del “fiorentino”. Ha riesumato un santocchio del socialismo, Proudhon, il quale con parole costumate ha gettato “ante litteram” sui colleghi soltanto vituperi e obbrobrio. Per aver imitato (con molti anni di ritardo) i socialdemocratici tedeschi che a Bad Godesberg hanno gettato alle ortiche la tunica marxista, Renzi, come Craxi, è visto come un micidiale spadaccino. Gli si riconosce coraggio e c’è chi pensa di renderlo inoffensivo con l’eliminazione. Il Pd va a rotoli non soltanto per le sue gaglioffaggini; va a rotoli per la bassa statura intellettuale dei suoi condottieri. Può salvarsi se esce dalle chiavarde di un marxismo in cui contano soltanto le chiacchiere. Il connubio tra ignoranza ideologica e complesso di inferiorità internazionale ha a tal punto vilificato il partito del Nazareno che Renzi, considerandolo come schiuma nel gran vento della politica internazionale, sente il bisogno di invitarlo alla unificazione con i liberalsocialisti. I modesti esecutori e i furbi intriganti, che si sono serviti di Marx e della falce e martello come molletta per appendere i panni al “sole nascente” del loro tornaconto, temono persino le zanne e gli artigli del M5s. Con l’inerzia del suo spirito inoccupato, la sinistra si prepara a tramontare con il “sole calante” dei vari D’Alema, Prodi e Bersani.
Maurizio Liverani