di Maurizio Liverani
Regna, tra i nostri onorevoli democratici, un cannibalismo mascherato da “fair play”. Per riguadagnare un po’ di prestigio, il redivivo Luciano Violante ha avuto un’idea, a suo giudizio, brillante: si è messo a elogiare coloro che in questo momento sono additati come i più quotati a governare il Paese. Persona corretta e perciò vituperata all’interno di Montecitorio, Violante ha indicato in Matteo Renzi l’uomo del destino. Non lo ha definito proprio così perché tutti sappiamo che fine fa chi incappa in questa definizione. L’istinto prevalente tra i gli onorevoli sarebbe per la stagnazione con vitalizio; quella che una volta veniva chiamata “pacchia. La quasi totalità dei neo eletti vorrebbe adattarsi alla tirannia dello status quo. Questi nuovi personaggi fanno valere le loro “doti” di politici caricaturabili. La brama di poltrone comporta, in certi casi, grossolane prese in giro; nessuno ha il coraggio di adontarsi perché scomparirebbe subito. Si è contraltare alla vecchia guardia accettando gli sberleffi. Questo è già un mutamento. C’è poi il pericolo della cooptazione, mentre la freccia direzionale di ogni nuovo-entrato è quella di essere bastian contrario; mai assumere un atteggiamento ossequiente verso un rappresentante del vecchio. La regola di essere sempre irriverenti è una prigione dalla quale non si può evadere neppure un istante. Questa psicosi è arrivata al punto che il candidato premier Luigi Di Maio è tollerato tra i suoi soltanto se nei suoi “discorsetti” ci infila un guardare avanti con fiducia; anche Matteo Salvini ha rinunciato al suo “paroliberismo”. Le tecniche dell’intelligenza, in attesa delle decisioni definitive, vanno studiate attentamene. Alle spalle di questi nuovi “balilla” ci sono professori che le tecniche del discorso politico lo conoscono bene e le trasmettono con cura ai loro allievi orientati decisamente a rappresentare il nuovo che “avanzerebbe”. Ripetere la solita frase “il nuovo che avanza” ha un sapore “ducesco”. Le dichiarazioni di Di Maio sono segature dialettiche; oltre a quelle non sa andare. Siamo sicuri che sia più intelligente di quanto appaia; si schiera limitatamente dal lato giusto, dal lato migliore, ripetendo spesso che parla a nome della democrazia. Quando appare nel rettangolo ronzante della radiosità elettronica (intendi video), la sua immagine per non sembrare sbiadita riceve un tocco di “fard”. Cesella quisquiglie da mente aperta; il podio, per lui, non ha mai il carattere di un altare. Con la sua aria di giovincello vuole sfuggire all’immagine di “cicerchione” che invece assilla un po’ Salvini. A entrambi, un’eroina di Stendhal direbbe: “Tu hai un futuro che va diventando passato, ma non diventerà mai presente”. L’autore delle “Passeggiate romane” questo augurio-malaugurio lo avrebbe fatto a tutti i predecessori di Di Maio e Salvini. La letteratura francese ha un vasto repertorio di questi flash che assommano fiducia e sfiducia verso chi sono diretti. Silvio Berlusconi si eleva al rango di eccezione perché ha superato l’ottantina; si può avere anche meno di questa percentuale purché guidi un partito che non si nutra di sottomissione. Berlusconi ha il dieci per cento e conosce la sensazione di contare di più; è superiore al suo drappello di voti e per questo viene mantenuto vivo il cannibalismo verso di lui. A sinistra è più temuto e gli offrono il “lecca lecca” della grande considerazione per tenerlo buono per altre occasioni e non divenga un pericolo. Vogliono immetterlo nel limbo di una esistenza politica insignificante per poi gettarlo come uno sconcio fardello. Tutto si svolge in un clima pinocchiesco che si fa passare per una grande pagina della storia.
Maurizio Liverani