MONICA, LA PIU’ AMATA. SOPRATTUTTO IN FRANCIA

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI

MONICA, LA PIU’ AMATA. SOPRATTUTTO IN FRANCIA

La specialità di Michelangelo Antonioni era quella di creare trambusti; per esempio, una iliade di guai si abbatté sull’”Avventura”, girato in un’isola delle Eolie dove vennero persino a mancare viveri e acqua, oltre alla pellicola e ai soldi.  La sua volontà di cacciarsi nei guai assunse aspetti drammatici nei rapporti con gli attori. Dopo aver posto al vertice delle sue ambizioni e dopo aver interpretato “La notte”, Jeanne Moreau aprì su tutti i giornali francesi le cateratte delle più feroci invettive contro il regista e Monica Vitti, offesa, si disse, nel suo desiderio di essere “spaventosamente” amata da ogni uomo che le gravitasse attorno. A lei sarebbe stato proibito di restare sul set quando girava Monica. La Vitti, al contrario, era invariabilmente presente alle sue scene, seduta accanto a Michelangelo. Si disse che, invidiosa della sua bravura, Monica sarebbe arrivata al punto di rifarle il verso e, persino, “marameo” con il pollice sul naso e al mano a ventaglio. Per risciacquare un suo film nell’Arno dei guai, Antonioni mise accanto a Monica l’attore inglese Richard Harris, il brutale giocatore di rugby di “Io sono un campione”. Avvisaglie di tempesta si avvertirono sin dagli inizi delle riprese. Alla fine è arrivato il putiferio. Piantato il “Deserto” di Antonioni, Harris partì per Hollywood attratto da un lauto contratto. Il suo personaggio rimase così incompiuto. La spiegazione della fuga data dall’attore fu contrattuale; da otto, quante erano all’origine, le settimane di lavorazione sarebbero diventate quindici. Le sue richieste, cioè la penale che la produzione doveva pagare, avrebbe trovato sordo il produttore, Tonino Cervi. Antonioni trasse sollievo dalla fuga di Harris. “Quando ci ha piantato”, mi raccontò, “ho dovuto modificare la vicenda. Così andò molto meglio. C’era qualcosa di troppo compiuto nel suo personaggio. Se non se ne fosse andato, forse avrei dovuto tagliare qualche scena”. Il voltafaccia di Jeanne Moreau lo attribuì ai registi della “nouvelle vague”. “Sono invidiosi, dei palloni gonfiati. Mentre sui loro “cahiers” rivalutano registi scadenti e riversano i loro strali contro me e Fellini”. Personaggio centrale di “Deserto rosso” è una donna, Monica Vitti, afflitta da un a crisi psichica. Dimessasi da una clinica, cerca di inserirsi nella realtà; il tentativo fallisce. Ecco dunque la storia farcita da delicate esplorazioni psicologiche, avvolte in quell’aurea particolarissima che ha fatto sempre il fascino dei film di Antonioni. In quale misura Monica può aver influenzato il regista? “Indipendentemente da Monica, trovo che le donne hanno una sensibilità superiore a quella degli uomini. Monica mi andava bene. L’averla conosciuta mi ha molto aiutato. Ma non è detto che non possa fare anche senza di lei”. In questa affermazione era implicito il senso del distacco. Del resto, lei prima di offrirsi alla commedia (dove dette eccezionali prove) ha lavorato con Vadim, con Salce e con Blasetti. Ma su questo argomento, prima di incontrarsi con Alberto Sordi, ha calato la saracinesca dell’”incomunicabilità” di Michelangelo. Monica Vitti, nonostante tutte queste traversie, divenne l’attrice italiana preferita dai registi francesi. Truffaut amava molto Monica. “E’ una grande attrice”, mi disse. Gli chiesi: “Perché non viene a fare un film in Italia?”. “Ma lei è matto. In Italia prima o poi si diventa macchiette. In Francia ci si prende sul serio. Est la règle du jeux!…”. Auguri, Monica.
 
MAURIZIO LIVERANI