di Maurizio Liverani
C’è una diffusa sensazione che gli italiani non abbiano mai dato tanta importanza alla politica; l’hanno tenuta in vita per comodità. Alcuni gruppi di ciarlatani hanno simulato l’esigenza di dogmi e di ideologie. Bernard Show sostiene che la tentazione di circondarsi di ideali nell’illusione di elevarsi verso un mondo migliore, che non esiste, è una convenzione che ha ottenebrato l’intelligenza umana. Il moralista, per dare un sapore alla sua vita senza senso, ha deciso di atteggiarsi a predicatore, mentre è un semplice saltimbanco. Se guardiamo bene a quello che è avvenuto in Italia, non c’è stato né ci sarà alcun cambiamento. Sospinti dalla noia, pur di dare un sapore a una vita che si è screditata nei secoli, le “genti” hanno deciso di far tabula rasa di tutto ciò che fino a poco tempo fa erano abituate a rispettare. Le convulsioni politiche che abbiamo vissuto non sono altro che un subbuglio di burloni che si illudono di essere titolari di valori contenenti la cosiddetta “volontà della specie”. Quello che è avvenuto non è che un ricambio; chi li ha preceduti aveva ormai tutte le caratteristiche di un prodotto adulterato. Le imprese di quelli che si dichiarano “nuovi venuti” hanno catturato la stessa attenzione con la quale si segue un comune film d’avventura. La genesi di un capopartito è inizialmente avvolta da una nebbiolina che impedisce di definirne i lineamenti; catturato il suo bel dogma, comincia a salire gli alti gradi e a darsi importanza. Questo mutamento è gradito soltanto nel caso in cui il pubblico scopra che le ideologie e i dogmi sono delle pure invenzioni. Per diventare una grande lady innanzitutto è importante fare un gran baccano. Pigliate Matteo Salvini: ha cominciato a mettere l’amplificatore alle “mormorazioni” sul conto dei partiti cosiddetti padronali; sicuro di avere l’appoggio di una “greppia”, si è dato subito il carattere da Gianburrasca. Galvanizzato dalla maldicenza e dal sarcasmo di grana grossa, annunciava che il pollastrone avversario non aveva più alcun futuro; gliene restava, semmai, una porzione, tanto per avere un nemico ormai ridotto al lumicino per tormentarlo nei comizi. Per investirlo di ignominia, l’avversario ormai alle corde è stato continuamente collocato nell’epoca degli scandali quando un indizio di reato conferiva, anche a una nullità, perspicacia. Schierarsi contro la vecchia dirigenza è stato facile; le colpe che le vengono attribuite rientrano tutte nella sfera del malgoverno. Con questo gioco nella democrazia italiana sono colpiti esimi personaggi che attendevano da tempo il repulisti degli scandali. Chi era intrugliato in uno scandalo attendeva, anno dopo anno, che una grossa Berta moralizzatrice lo avrebbe allontanato dai vertici. Il fermento risanatore, autentico o fallace che fosse, ha fatto rivivere il ritrovamento di un imperativo etico che, se veramente esistesse, farebbe conoscere a legioni di politici il cibo dei galeotti. Alla luce di queste considerazioni verificabili e attendibili, il tanto strombazzato cambiamento ha tutti i caratteri di un rimpasto. Si succederanno posizioni moralizzatrici più incisive perché questi “capiscarichi” della politica, pregni di sdegni, vorranno andare sempre fino in fondo. I nuovi capi già appaiono per quello che sono; sono i primi a essere sorpresi del successo avuto dai loro “scappellotti”. E’ venuta alla luce l’imprevidenza dei precedenti capi rimossi. Ma attenti, la genia degli sconfitti è ancora dotata di appoggi e di strumenti di potere. Non è incauto sospettare che questa classe dirigente, punita per i troppi errori, possa presto trovare punti di convergenza con la nuova leva che predica il cambiamento. Puntelli per una riconciliazione già si intravvedono per tessere la tela delle nuove alleanze.
Maurizio Liverani