NEMICI PER LA PELLE

di Maurizio Liverani

Gli esperti elettorali profondono tesori di sottigliezza per rinvenire le cause che tengono unite in un partito personaggi che del marxismo hanno conservato soltanto l’”odio”. Questo sentimento regola i loro rapporti. Nell’epoca della civiltà delle immagini, presentare un corpo politico grigio e scolorito, per di più animato da questo rancore, è la più grande iattura che possa capitare alla vigilia di una consultazione. Si può consacrare un rispetto carismatico a un tipo come Piero Grasso o Pier Luigi Bersani? Li diresti indovinatori con i tarocchi dell’ideologia; sanno, forse, analizzare i fondi di caffè e trarne lumi per la politica del loro partito. Hanno molta dimestichezza con la spiegazione delle cose, ma i loro lineamenti e i loro discorsi non sono impregnati di alcuna qualità. Tutti nel Pd si erano impegnati a battersi contro Matteo Renzi, divenuto, per sua scelta, una figura-culto. Nella cisterna stretta del suo pensiero si direbbe che passino le correnti dello spirito berlusconiano; ha abolito ogni simbolo, la bandiera rossa, la falce e martello e l’inno “Bella ciao”. Agli occhi dei compagni, meglio, dei coinquilini del Nazareno è tutt’altro che un piccolo manigoldo; ma i suoi avversari, che lo hanno candidato alla vetta della segreteria, insistono su questa immagine negativa. Del marxismo, a sinistra, è sopravvissuto soltanto l’odio che viene scagliato contro un unico bersaglio: Matteo Renzi. Lo hanno votato e quindi si deduce che gli riconoscono una superiorità nella gerarchia dei valori. Questo fino a qualche tempo fa, successivamene è subentrata la “notte dei lunghi coltelli”. Alcuni se ne sono andati, ma, pronto a offrire il suo possente (o flebile?) aiuto è arrivato Romano Prodi. Nelle varie trasmissioni televisive, Renzi è descritto, dai suoi avversari, come una nullità, come una piaga; il conduttore Giovanni Floris, sentendo quesi giudizi negativi, fluttua in un’atmosfera di euforia. La scelta di Renzi al vertice dovrebbe essere vista dallo spettatore come una calamità. Ciò accade perché nel segretario si sono accentuati i caratteri liberalsocialisti. E’ un giovane di sinistra con la presunzione di decidere tutto da solo, convinto che sia questo che serva alla sinistra. Sottintende di voler mettere la sua fiaccola sotto il moggio democratico della destra. Silvio Berlusconi è, per lui, l’”eminente”; l’immagine rassicurante di Silvio è come una grossa atout che può trascinare questa sinistra impresentabile in una nuova realtà. I mass-media non trascurano occasione per segnalare il suo volto di benevole e cortese conservatore.

Maurizio Liverani