di Maurizio Liverani
Con un sospiro di sollievo, moltissimi italiani hanno svuotato di senso tante categorie mentali che per anni e anni si sono installate nelle loro teste, accolte con indifferente pigrizia. Ha prevalso il carattere di questo Paese che per quieto vivere ha assecondato il furbastrismo dei partiti. Plotoni di comunisti sono stati al gioco senza conoscere nulla del marxismo; in egual misura, altri connazionali sono andati fieri di essere considerai fascisti, o meglio di essere sospettati, senza conoscere nulla del ventennio. E’ la stessa attitudine dei credenti cui non dispiace onorare una fede conoscendo soltanto qualche scampolo dei testi sacri. Su, ammettiamolo, siamo un concentrato di indifferenza, di conformismo, ma siamo capacissimi di simulare passioni politiche e ardori patriottici. Già nei primi anni del fascismo le librerie ridondavano di racconti come “Gli indifferenti”, “Il conformista”, “La noia”, senza che nessuna autorità, sempre pronta a inneggiare ai grandi valori della Patria, se ne impensierisse. Le ragioni di questa prolungata indifferenza vanno rinvenute nella storia italiana che, per arricchire di fasti la penisola, è ricorsa a un marchingegno produttore di fantasiosi principi, valori patriottici, familiari e religiosi. In questo contesto si sono innestati, con astuzia, esperti nel creare fazioni, partiti e di porli in condizioni di litigiosità al solo scopo di non morire di noia. E’ questa una visione semplicistica della storia italica; ci induce ad averla la politica, ridotta oggi a un solo partito che si dà connotati di comodo a seconda delle circostanze. Il materialismo si affida, soprattutto, all’economia che, per darsi un lustro particolare, si abbellisce con i dogmi e le ideologie, fingendo di essere vassalla di queste costruzioni mentali e fantasiose. In sostanza, si è voluta impreziosire la nostra esistenza; l’italiano, senza almanaccarsi troppo pur di orientare la sua mente verso i piaceri materiali, ha consentito a uno stuolo di personaggi di attribuirsi particolari doti intellettuali e condurre, attraverso un tempo immemorabile, una vita ricca di agi e di venerazione. L’infatuazione per la politica è sempre stata sorretta dalla ricerca del tornaconto; svettare sulla massa accumulando ricchezze, nel caso se ne offrisse l’occasione, attribuendosi titoli nobiliari e intellettuali, con un supplemento di carisma religioso. Fruendo di un acume naturale, l’italiano si è intrugliato in questo gioco che consiste nel carpire vanti di vario tipo. Il tempo ha lentamente logorato questo marchingegno diabolico che, così come è stato ideato, ci fa onore, ma che oggi, per usare un’espressione gergale, dà “in ciampanelle”. Questa ricostruzione sommaria ha un sapore qualunquistico. L’assolve l’ammissione che gli italiani, sin dai primi sintomi di caratterizzazione, hanno privilegiato il riconoscersi “qualunque”. E’ una caratteristica che ci contraddistingue da secoli e che nasconde ciò che riteniamo una dote spesso inappagata: godersi la vita. Per capire quello che sta avvenendo nel mondo politico basta concentrarsi su questa fisionomia dell’italiano, fiero di essere trasformista, di tornare sui suoi passi, di inventarsi nemici che poi accoglie come amici. Insomma, quella qualità alla Fregoli che non ci offende affatto e che a Roma è riassunta in un’espressione: “Anvedi come semo dritti!”.
Maurizio Liverani