“NON SI TRATTA DI CHIEDERE O OTTENERE PERDONO…”

“NON SI TRATTA DI CHIEDERE O OTTENERE PERDONO…”

In riferimento alle recenti esternazioni di Emanuele Filiberto, con la richiesta agli Ebrei Italiani di perdono familiare per la promulgazione delle leggi razziali da parte di Vittorio Emanuele III, si sono registrate reazioni contrastanti che, pur nell’ovvio consenso verso un principio da tutti condiviso (l’orrore delle leggi razziali e delle conseguenze scaturite), sottolineano la sostanziale inopportunità dell’iniziativa.

Da parte della stessa Comunità Ebraica si prendono le distanze: l’autorevole esponente Ricardo Franco Levi, Presidente della Associazione Italiana Editori, ha risposto con distacco, asserendo che oggi, sulla tragedia richiamata, “non si tratta più di chiedere o ottenere perdono”.

Piuttosto gelido anche il commento dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Noemi Di Segni afferma: “Oggi, dopo 82 anni il discendente, il bisnipote Emanuele Filiberto, afferma un sentimento di ripudio e condanna rispetto a quanto avvenuto. Un lasso di tempo molto lungo. Perché ora? Si tratta in ogni caso di un’iniziativa che è da ritenersi ad esclusivo titolo personale, rispondendo ciascuno per i propri atti e con la propria coscienza. Né l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane né qualsiasi Comunità ebraica possono in ogni caso concedere il perdono in nome e per conto di tutti gli ebrei che furono discriminati, denunciati, deportati e sterminati.  Nell’ebraismo perfino a Dio non si può rivolgere una richiesta di perdono se chi percepisce l’onta e la colpa non si è prima scusato dinanzi alla persona offesa.”

Anche il mondo monarchico ha inteso far sentire la propria voce.

Il Senatore del Regno e Presidente Onorario dell’UMI Giovanni Semerano (nella foto © ) ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Ricordo al sig. Emanuele Filiberto che il suo bisnonno non fu mai razzista, tanto è vero che tenne presso di sé il suo medico personale, il barbiere e l’autista, tutti e tre ebrei, e il 20 gennaio del 1945, nel Regno del Sud, tra i primi provvedimenti promulgò due decreti legge che abrogarono le leggi razziali”.

A questa dichiarazione si aggiunge la nota ufficiale dell’UMI che, a firma del suo Presidente Avv. Alessandro Sacchi, aggiunge elementi giuridici che sottolineano -pur nell’apprezzamento umano espresso anche nella nota del nostro opinionista Maurizio Liverani- l’incongruenza politica di questo intervento mediatico. 

Questo il comunicato ufficiale dell’UMI:
“Le leggi razziali, chi le ha volute?”  Non c’è dubbio che scusarsi a nome di una Famiglia o di un Popolo costituisca un gesto nobile di onestà intellettuale e di cristiana pietà considerato che, nel caso delle leggi razziali, ad esse sono seguiti lutti di gravità inaudita. È tuttavia una scusa che deve lo Stato italiano, considerato che quelle leggi, proposte dal Governo ed approvate dalle Camere, non potevano non essere promulgate da un Re costituzionale dopo plurimi rifiuti. Anche oggi ai sensi dell’art. 74, comma 2, della Costituzione repubblicana il Capo dello Stato “deve” promulgare una legge approvata dal Parlamento. Lo ricorda agli immemori l’Unione Monarchica Italiana, segnalando che l’eventuale abdicazione del Re avrebbe messo definitivamente l’Italia nelle mani del regime che quelle leggi aveva voluto e che godeva, come ha ricordato nel suo ultimo libro Bruno Vespa, dell’assoluto consenso degli italiani. Molti dei quali a guerra perduta, com’è noto, si sarebbero rapidamente “scoperti” antifascisti.
Roma,23 gennaio 2021
Il Presidente Nazionale dell’UMI
Avv. Alessandro Sacchi
 
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 © NELLA FOTO: GIOVANNI SEMERANO – ANNI 90 – © FOTOGRAFIA DI GIACOMO CARIOTI ©