- di MAURIZIO LIVERANI
- Che cosa è rimasto in piedi di ciò che pensavamo del comunismo, che credevamo definito per sempre? Le idee sono scomparse, altre, poche, in riparazione; infine, altre ancora, il tarlo del dubbio le ha ridotte come colabrodo. Almeno Palmiro Togliatti (foto) godeva fama di uomo molto colto, ma affetto da un allarmane cinismo. Le sue imprese venivano apprezzate come l’espressione di un temperamento vivace e “molto” intelligente. Era un uomo che aveva le idee chiare sul marxismo, ma non amava esibirle perché il Kgb lo avrebbe stecchito. Al regista Giuseppe De Santis che gli chiedeva spazientito: “Non ti sembra che nel nostro partito ci siano troppi imbecilli?”. Rispose lentamente, cercando di farsi intendere: “Per questo siamo un grande partito nazional-popolare”. Era troppo acuto per il regista “ciociaro” di “Riso amaro”, film di sapore dannunziano spacciato per neorealista. Quando Tommaso Chiaretti, sull’”Unità”, stroncò “Don Camillo e l’onorevole Peppone” con un articolo dal titolo “Italia offesa”, Togliatti prese carta e penna e “corresse” quella stroncatura. Guareschi era il “suo” autore preferito per il partito nazional-popolare che voleva fosse il pci. Delle sue letture raffinatissime parlava con pudore nel timore che la “base” non avrebbe approvato i suoi gusti élitari. Stimava a tal punto i liberali del “Mondo” da ingiungere Mario Alicata a “inciuciare” con Ernesto Rossi, liberale di sinistra prezioso; di quella razza abituata a spaccare i capelli non in quattro, ma in quattrocento parti. Era nel vero Nilde Iotti quando ricordò che Togliatti era tendenzialmente un liberale. Se lo avesse dichiarato in vita non soltanto avrebbe corso il rischio su accennato, ma sarebbe stato ben lungi dall’avere, anche, soprattutto nell’alta borghesia, copiose schiere di “imbecilli” nazional-popolari. Al suo confronto i politici d’oggi sono tutti ragazzotti impulsivi; sono pigmei, nel migliore dei casi, arrivisti vanitosi e snobisti camaleonteschi. Come politicanti “borghesi” concepiscono la politica come fonte di guadagno personale. Qualcuno, sul versante “dotto”, si erge a custode dei supremi valori della cultura e dell’intelligenza. Le conventicole politico-letterarie che, vivo Togliatti, costituivano un ceto egemonico sono in crisi, nonostante la respirazione bocca a bocca dell’editoria “berlusconiana”. Forse è soltanto un mormorio; grazie a questo “entente cordial” declassati profeti tendono a vivere con passionalità immaginaria. Con l’avanzare della letteratura consumistica che sgomitola banalità in ogni campo, si assiste a una generale conversione in senso carrieristico. L’editoria percorre a passi di bersagliere la riutilizzazione a destra di vecchie e nuovi intellettuali di sinistra. Con gran scorno degli intellettuali che mal sopportano queste invasioni di campo. I columnist e le cosiddette “guide morali” si abbandonano nella loro inflazionata produzione sull’aristocratica esiguità della vita; più spesso con l’attraente languore di lasciarsi andare ai ricordi.
MAURIZIO LIVERANI